Enhavo:



Annuntio vobis gaudium magnum;
Habemus Papam:
Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum,
Dominum Josephum
Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Ratzinger
qui sibi nomen imposuit Benedictum XVI

Roma, ore 17.50 del 19 aprile 2005:
Fumata bianca.

Romo, horo 17.50 de la 19.a de Aprilo 2005:
Blanka fumado.

Alle 18.43 il cardinale protodiacono Medina Estevez annucia con la rituale formula latina l'elezione del nuovo pontefice Benedetto XVI, dopo qualche minuto il santo padre stesso si presenta sulla loggia della Basilica per la sua prima benedizione "Urbi et Orbi" introdotta da un breve mesaggio: Je la 18.43 la protodiakona kardinalo Medina Estevez anoncas, per la rita latina formo, la elekton de la nova pontifiko Benedikto la 16.a, kelkajn minutojn poste la Sankta Patro mem, prezentiĝas ĉe la balkono de la Baziliko por sia unua beno "Urbi et Orbi" enkondukita de mallonga mesaĝo:
"Cari fratelli e sorelle, dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore.Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere.Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente, andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà e Maria sua Santissima Madre starà dalla nostra parte. Grazie." "Karaj gefratoj, post la granda Papo Johano Paŭlo la 2a, la sinjoroj kardinaloj elektis min, simplan kaj humilan laboriston en la vinberejo de la Sinjoro. Min konsolas la fakto, ke la Sinjoro kapablas labori kaj agi ankaŭ per ne sufiĉaj rimedoj kaj precipe mi min konfidas al viaj preĝoj. En la ĝojo de la Sinjoro Resurektinta, konfidante je lia daŭra helpo, ni antaŭeniras. La Sinjoro helpos nin, Maria lia Santega Patrino staros je nia flanko. Dankon."


È morto il Papa! Viva il Papa!

Con viva partecipazione ed apprensione abbiamo seguito gli ultimi giorni di vita di Giovanni Paolo II. Abbiamo pregato per lui perchè potesse stare ancora un poco con noi, la sua morte ci ha rattristato, quasi fosse morto uno dei nostri cari. Lo abbiamo tanto ammirato, nel vigore dei suoi anni, per la sua forza indomita, la sua eloquente sapienza e per il suo coraggio, lo abbiamo amato quando lo abbiamo visto sofferente sotto il peso della malattia e della vecchiaia. Ci consola il saperlo ora presso la casa del Padre. Lo abbiamo visto l'ultima volta a Pasqua. Sapevamo che non avrebbe potuto rivolgere i soliti auguri nelle varie lingue, ma ci siamo recati ugualmente in piazza San Pietro, questa volta con i nostri pannelli rivolti verso la sua finestra. È stato toccante quando è apparso lassù davanti a noi, ha tentato di parlare poi ha desistito e si è limitato ad impartire con il gesto della mano la sua ultima benedizione Urbi et Orbi. Ci ha sicuramente visti, non poteva non vederci! ci siamo commossi perchè capivamo che quella sarebbe stata l'ultima volta: avrebbe portato con sè nell'aldilà, impressa nei suoi occhi, quella nostra scritta ESPERANTO, abbiamo pensato per un momento che quella benedizione fosse rivolta proprio solo a noi. Grazie santo Padre, ricordati di noi ora che sei lassù. Hai fatto molto per la nostra lingua vogliamo meritare questa tua predilezione e continuare nel nostro impegno.

Ora abbiamo un nuovo papa. Dopo la tristezza la gioia. Aveva meritato la nostra simpatia già da prima, con quella sua omelia ai funerali di Giovanni Paolo II, così intensa di dottrina e di poesia. I suoi primi gesti da papa, le sue prime parole, hanno allontanato qualche preconcetto (se c'era), ci siamo accorti di trovarci di fronte ad una figura straordinaria che ci fa bene sperare per il futuro della Chiesa. Più delle nostre parole parla il testo, riportato più sotto, della sua omelia per la S.Messa inaugurale del suo pontificato.
Da più parti ci si è chiesti, quali siano i suoi rapporti con l'esperanto, se non dovremo per caso rimpiangere il papa che l'ha preceduto. Qualche testimonianza ce lo dice non contrario, la prima controprova l'avremo alla benedizione Urbi et Orbi di Natale. Si sa della sua predilezione per il latino, ma questo non esclude l'esperanto. Il latino è la lingua ufficiale della chiesa, è depositario di un patrimonio a cui non è possibile rinunciare nè ora nè in futuro; la chiesa ufficiale continuerà a parlare in latino. Ma per la pastorale questa lingua non funziona più, rimodernarla significherebbe stravolgerla e, anche se ci si riuscisse, sarebbe troppo "romana" quindi poco ecumenica. La chiesa ha necessità di una lingua internazionale, ma sarebbe un po' stravagante se venisse scelta ora una lingua come l'esperanto, che pur avendo tutti gli attributi di idoneità è pur sempre meno conosciuta del latino. Ringraziamo la Chiesa per non aver scelto l'inglese. Tocca a noi coltivare questa lingua, diffonderla, renderla viva, offrirla alla Chiesa pronta all'uso perchè universalmente parlata. Una decisione in tal senso presa dall'alto, in un tempo non ancora maturo, non sarebbe utile nè alla Chiesa nè all'esperanto che rischierebbe di diventare una lingua confessionale. Questo papa è troppo intelligente per non capire queste cose e probabilmente si aspetta qualcosa da noi. Si può scorgere qualcosa di promettente nello stemma che si è scelto: la conchiglia, simbolo del pellegrino sulle vie del mondo e la testa di moro con l'orso di S.Corbiniano che sono un riferimento alla sua terra d'origine; così come l'esperanto ci apre le vie del mondo nel rispetto della lingua e delle tradizioni della nostra terra d'origine.

Giovanni Daminelli



Lo stemma di Benedetto XVI La blazono de Benedikto la 16.a
Lo stemma scelto da Benedetto XVI è costituito da uno scudo, sovrapposto a due chiavi incrociate, sormontato dalla mitra vescovile e con il pallio papale sottostante. La blazono de Benedikto la 16.a, konsistas el unu ŝildo, surmetita sur du krucigitaj ŝlosiloj, havanta supre episkopan mitron kaj sube papan paliumon.
Lo scudo, del tipo a calice, è rosso cappato di oro. Nel campo centrale, rosso, c'è una grande conchiglia d'oro, nel cantone destro della cappa (a sinistra per chi guarda) c'è una testa di moro coronata e nel cantone sinistro un orso bruno con un fardello sul dorso. La ŝildo, el kalika tipo, estas ruĝa kun blazonmantelo el oro. En la centra kampo, ruĝa, estas granda ora konko, en la destra blazonmantela angulo (maldestre por la rigardanto) estas kronita kapo de maŭro kaj en la maldestra angulo estas urso surdorse ŝarĝita.
La conchiglia ha tre significati: La konko havas tri signifojn:
1) Ricorda la leggenda di S.Agostino, che in riva al mare incontra un bambino, che, con una conchiglia, vuol mettere tutta l'acqua del mare in una buca scavata nella sabbia. Indica l'infinità di Dio di fronte alla limitatezza della mente umana. 1) Ĝi memorigas la legendon pri S.kta Aŭgusteno, kiu, ĉe marbordo renkontas knabon, kiu per konko volas transverŝi la tutan akvon de la maro en kavon fositan en la sablo. Ĝi simbolas la senlimecon de Dio kompare kun la homa limeco.
2) È simbolo del pellegrino e vuol indicare che il papa vuol seguire le orme di Giovanni Paolo II, pellegrino in ogni parte del mondo.
2) Ĝi simbolas la pilgrimon kaj volas montri ke la papo volas sekvi la spurojn de Johano Paŭlo la 2.a, ĉien pilgriminto en la mondo.
3) È un simbolo presente nello stemma del monastero di Schotten, in Baviera, a cui il nuovo papa si sente particolarmente legato. 3) Tiu simbolo ĉeestis en la blazono de la monaĥejo de Schotten, en Bavario, al kiu la nova papo sin sentas aparte ligita.
Gli altri due simboli, erano già presenti nel suo stemma di vescovo della diocesi di Monaco e Frisinga: la testa di moro è l'antico simbolo della diocesi di Frisinga (VIII secolo), l'orso ricorda la leggenda di S.Corbiniano, primo vescovo di Frisinga, che, in viaggio verso Roma, ebbe il cavallo sbranato da un orso. Egli riuscì ad ammansire l'orso, caricarlo dei suoi bagagli e farsi accompagnare fino a Roma. L'orso diventa simbolo del vescovo medesimo, che ammansito da Dio porta il fardello dell'episcopato. La aliaj du simboloj ĉeestis jam en lia blasono de episkopo de la diocezo de Munkeno kaj Frisinga: la kapo de maŭro estas antikva simbolo de la diocezo de Frisinga (VIII jc.), la urso memorigas la legendon de Sankta Corbiniano, la unua episkopo de Frisinga, kiu, vojaĝante al Romo, havis la ĉevalon disŝirita de urso. Li sukcesis dresi la urson, ŝarĝigi lin per sia bagaĵo kaj devigi ĝin akompanadi lin ĝis Romo. La urso iĝas simbolo de la episkopo mem, kiu dresita de Dio, portas la ŝarĝon de la episkopa ofico.
Le due chiavi incrociate, sono presenti in ogni stemma papale e indicano il potere dato da Cristo a S.Pietro e ai suoi successori. Una è d'oro, l'altra è d'argento e sono spesso interpretate come simboli del potere spirituale e temporale. La du krucigitaj ŝlosiloj, ĉeestas en ĉiu papa blazono, kaj simbolas la povon donitan de Kristo al S.kta Petro kaj al liaj posteuloj. Unu estas el oro, la alia el arĝento, kaj ofte estas interpretataj kiel simboloj de la povoj spirita kaj tera.
Benedetto XVI ha deciso di sostituire la tiara con una semplice mitria d'argento su cui sono tracciate tre fasce d'oro orizzontali collegate tra loro verticalmente da una striscia centrale. Le tre orizzontali ricordano le tre corone della tiara indicanti i tre poteri papali: Ordine, Giurisdizione e Magistero; quella verticale indica la loro unità in una persona. Benedikto la 16.a decidis anstataŭigi la tiaron per simpla arĝenta mitro kun tri horizontalaj oraj strioj, vertikale kunligitaj per alia centra strio. La tri horizontalaj memorigas la tri kronojn de la tiaro kiuj simbolas la tri papajn potencojn: Ordono, Jurisdikcio, Instruo; la verticala indikas ilian unuigon en unu persono.
Il pallio è un simbolo del tutto nuovo nello stemma papale. Esso è la tipica insegna liturgica del Sommo Pontefice e indica l'incarico di essere pastore del gregge a lui affidato da Cristo. La paliumo estas simbolo tute nova en papa blazono. Ĝi estas liturgia insigno specifa de la Ĉefpontifiko kaj estas signo de la tasko esti paŝtisto de la grego al li konfidita de Kristo.


HOMILIO DE LIA SANKTECO BENEDIKTO LA 16.a

okase de la S.Meso por la komenco de lia papado

(la homilio estas tro longa por aldoni la esperanta traduko al la originala en la itala kaj ĝi estas tro bela por forlasi kelkajn partojn, do ni publikigos la esperantan tradukon en la venonta numero)

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

per la S.Messa per l'imposizione del Pallio e la consegna dell'Anello del Pescatore
Piazza San Pietro:Domenica, 24 aprile 2005

(È un po' lunga per poterne affiancare la traduzione, è troppo bella per toglierne qualche parte: la riportiamo integralmente. Nel prossimo numero pubblicheremo la sua traduzione in esperanto)

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
distinte Autorità e Membri del Corpo diplomatico,
carissimi Fratelli e Sorelle!
Per ben tre volte, in questi giorni così intensi, il canto delle litanie dei santi ci ha accompagnato: durante i funerali del nostro Santo Padre Giovanni Paolo II; in occasione dell'ingresso dei Cardinali in Conclave, ed anche oggi, quando le abbiamo nuovamente cantate con l'invocazione: Tu illum adiuva - sostieni il nuovo successore di San Pietro. Ogni volta in un modo del tutto particolare ho sentito questo canto orante come una grande consolazione. Quanto ci siamo sentiti abbandonati dopo la dipartita di Giovanni Paolo II! Il Papa che per ben 26 anni è stato nostro pastore e guida nel cammino attraverso questo tempo. Egli varcava la soglia verso l'altra vita - entrando nel mistero di Dio. Ma non compiva questo passo da solo. Chi crede, non è mai solo - non lo è nella vita e neanche nella morte. In quel momento noi abbiamo potuto invocare i santi di tutti i secoli - i suoi amici, i suoi fratelli nella fede, sapendo che sarebbero stati il corteo vivente che lo avrebbe accompagnato nell'aldilà, fino alla gloria di Dio. Noi sapevamo che il suo arrivo era atteso. Ora sappiamo che egli è fra i suoi ed è veramente a casa sua. Di nuovo, siamo stati consolati compiendo il solenne ingresso in conclave, per eleggere colui che il Signore aveva scelto. Come potevamo riconoscere il suo nome? Come potevano 115 Vescovi, provenienti da tutte le culture ed i paesi, trovare colui al quale il Signore desiderava conferire la missione di legare e sciogliere? Ancora una volta, noi lo sapevamo: sapevamo che non siamo soli, che siamo circondati, condotti e guidati dagli amici di Dio. Ed ora, in questo momento, io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò in grado di farlo? Voi tutti, cari amici, avete appena invocato l'intera schiera dei santi, rappresentata da alcuni dei grandi nomi della storia di Dio con gli uomini. In tal modo, anche in me si ravviva questa consapevolezza: non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta. E la Vostra preghiera, cari amici, la Vostra indulgenza, il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra speranza mi accompagnano. Infatti alla comunità dei santi non appartengono solo le grandi figure che ci hanno preceduto e di cui conosciamo i nomi. Noi tutti siamo la comunità dei santi, noi battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, noi che viviamo del dono della carne e del sangue di Cristo, per mezzo del quale egli ci vuole trasformare e renderci simili a se medesimo. Sì, la Chiesa è viva - questa è la meravigliosa esperienza di questi giorni. Proprio nei tristi giorni della malattia e della morte del Papa questo si è manifestato in modo meraviglioso ai nostri occhi: che la Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro del mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro. La Chiesa è viva e noi lo vediamo: noi sperimentiamo la gioia che il Risorto ha promesso ai suoi. La Chiesa è viva - essa è viva, perché Cristo è vivo, perché egli è veramente risorto. Nel dolore, presente sul volto del Santo Padre nei giorni di Pasqua, abbiamo contemplato il mistero della passione di Cristo ed insieme toccato le sue ferite. Ma in tutti questi giorni abbiamo anche potuto, in un senso profondo, toccare il Risorto. Ci è stato dato di sperimentare la gioia che egli ha promesso, dopo un breve tempo di oscurità, come frutto della sua resurrezione.
La Chiesa è viva – così saluto con grande gioia e gratitudine voi tutti, che siete qui radunati, venerati Confratelli Cardinali e Vescovi, carissimi sacerdoti, diaconi, operatori pastorali, catechisti. Saluto voi, religiosi e religiose, testimoni della trasfigurante presenza di Dio. Saluto voi, fedeli laici, immersi nel grande spazio della costruzione del Regno di Dio che si espande nel mondo, in ogni espressione della vita. Il discorso si fa pieno di affetto anche nel saluto che rivolgo a tutti coloro che, rinati nel sacramento del Battesimo, non sono ancora in piena comunione con noi; ed a voi fratelli del popolo ebraico, cui siamo legati da un grande patrimonio spirituale comune, che affonda le sue radici nelle irrevocabili promesse di Dio. Il mio pensiero, infine – quasi come un’onda che si espande – va a tutti gli uomini del nostro tempo, credenti e non credenti.
Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di governo. Qualche tratto di ciò che io considero mio compito, ho già potuto esporlo nel mio messaggio di mercoledì 20 aprile; non mancheranno altre occasioni per farlo. Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia. Invece di esporre un programma io vorrei semplicemente cercare di commentare i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente l’assunzione del Ministero Petrino; entrambi questi segni, del resto, rispecchiano anche esattamente ciò che viene proclamato nelle letture di oggi.
Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può essere considerato come un’immagine del giogo di Cristo, che il Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo. E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita – questa era la gioia di Israele, era il suo grande privilegio. Questa è anche la nostra gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci purifica – magari in modo anche doloroso – e così ci conduce a noi stessi. In tal modo, non serviamo soltanto Lui, ma la salvezza di tutto il mondo, di tutta la storia. In realtà il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d’agnello intende rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole, che il pastore mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. La parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era per i Padri della Chiesa un’immagine del mistero di Cristo e della Chiesa. L’umanità – noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità, porta noi stessi – Egli è il buon pastore, che offre la sua vita per le pecore. Il Pallio dice innanzitutto che tutti noi siamo portati da Cristo. Ma allo stesso tempo ci invita a portarci l’un l’altro. Così il Pallio diventa il simbolo della missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione. La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza. Il simbolo dell’agnello ha ancora un altro aspetto. Nell’Antico Oriente era usanza che i re designassero se stessi come pastori del loro popolo. Questa era un’immagine del loro potere, un’immagine cinica: i popoli erano per loro come pecore, delle quali il pastore poteva disporre a suo piacimento. Mentre il pastore di tutti gli uomini, il Dio vivente, è divenuto lui stesso agnello, si è messo dalla parte degli agnelli, di coloro che sono calpestati e uccisi. Proprio così Egli si rivela come il vero pastore: "Io sono il buon pastore… Io offro la mia vita per le pecore", dice Gesù di se stesso (Gv 10, 14s). Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell’umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini.
Una delle caratteristiche fondamentali del pastore deve essere quella di amare gli uomini che gli sono stati affidati, così come ama Cristo, al cui servizio si trova. "Pasci le mie pecore", dice Cristo a Pietro, ed a me, in questo momento. Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza, che egli ci dona nel Santissimo Sacramento. Cari amici – in questo momento io posso dire soltanto: pregate per me, perché io impari sempre più ad amare il Signore. Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il suo gregge – voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi. Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore ci porti e noi impariamo a portarci gli uni gli altri.
Il secondo segno, con cui viene rappresentato nella liturgia odierna l’insediamento nel Ministero Petrino, è la consegna dell’anello del pescatore. La chiamata di Pietro ad essere pastore, che abbiamo udito nel Vangelo, fa seguito alla narrazione di una pesca abbondante: dopo una notte, nella quale avevano gettato le reti senza successo, i discepoli vedono sulla riva il Signore Risorto. Egli comanda loro di tornare a pescare ancora una volta ed ecco che la rete diviene così piena che essi non riescono a tirarla su; 153 grossi pesci: "E sebbene fossero così tanti, la rete non si strappò" (Gv 21, 11). Questo racconto, al termine del cammino terreno di Gesù con i suoi discepoli, corrisponde ad un racconto dell’inizio: anche allora i discepoli non avevano pescato nulla durante tutta la notte; anche allora Gesù aveva invitato Simone ad andare al largo ancora una volta. E Simone, che ancora non era chiamato Pietro, diede la mirabile risposta: Maestro, sulla tua parola getterò le reti! Ed ecco il conferimento della missione: "Non temere! D’ora in poi sarai pescatore di uomini" (Lc 5, 1–11). Anche oggi viene detto alla Chiesa e ai successori degli apostoli di prendere il largo nel mare della storia e di gettare le reti, per conquistare gli uomini al Vangelo – a Dio, a Cristo, alla vera vita. I Padri hanno dedicato un commento molto particolare anche a questo singolare compito. Essi dicono così: per il pesce, creato per l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. E’ proprio così – nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui. Il compito del pastore, del pescatore di uomini può spesso apparire faticoso. Ma è bello e grande, perché in definitiva è un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso nel mondo.
Vorrei qui rilevare ancora una cosa: sia nell’immagine del pastore che in quella del pescatore emerge in modo molto esplicito la chiamata all’unità. "Ho ancora altre pecore, che non sono di questo ovile; anch’esse io devo condurre ed ascolteranno la mia voce e diverranno un solo gregge e un solo pastore" (Gv 10, 16), dice Gesù al termine del discorso del buon pastore. E il racconto dei 153 grossi pesci termina con la gioiosa constatazione: "sebbene fossero così tanti, la rete non si strappò" (Gv 21, 11). Ahimè, amato Signore, essa ora si è strappata! vorremmo dire addolorati. Ma no – non dobbiamo essere tristi! Rallegriamoci per la tua promessa, che non delude, e facciamo tutto il possibile per percorrere la via verso l’unità, che tu hai promesso. Facciamo memoria di essa nella preghiera al Signore, come mendicanti: sì, Signore, ricordati di quanto hai promesso. Fa’ che siamo un solo pastore ed un solo gregge! Non permettere che la tua rete si strappi ed aiutaci ad essere servitori dell’unità!
In questo momento il mio ricordo ritorna al 22 ottobre 1978, quando Papa Giovanni Paolo II iniziò il suo ministero qui sulla Piazza di San Pietro. Ancora, e continuamente, mi risuonano nelle orecchie le sue parole di allora: "Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!" Il Papa parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato entrare e concesso la libertà alla fede. Sì, egli avrebbe certamente portato via loro qualcosa: il dominio della corruzione, dello stravolgimento del diritto, dell’arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di ciò che appartiene alla libertà dell’uomo, alla sua dignità, all’edificazione di una società giusta. Il Papa parlava inoltre a tutti gli uomini, soprattutto ai giovani. Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui – paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci poi nell’angustia e privati della libertà? Ed ancora una volta il Papa voleva dire: no! chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita. Amen.



NI FUNEBRAS KAJ KONDOLENCAS

Lunedì 11 aprile, all'età di 97 anni, è venuto a mancare Guglielmo Ambrosio, padre di monsignor Gianni Ambrosio, direttore responsabile di Katolika Sento e assistente ecclesiastico generale dell'università Cattolica. Il funerale è stato celebrato nella chiesa parrocchiale di Carisio, alle porte di Vercelli, mercoledì 13 alle 10,30. In questo momento ci sentiamo particolarmente vicini al nostro direttore ed eleviamo una preghiera di suffragio per il caro estinto.



EL LE HOMILIOJ DE MONS. BALCONI

El la homilio de la pentekosta dimanĉo (18-5-2002) pri la evangelio laŭ Johano (20, 19-23): "Kiel la Patro sendis Min, tiel ankaŭ Mi sendas vin: ricevu la Sanktan Spiriton"

(...)
En la antikva hebrea liturgio Pentekosto estis la festo de la primicoj, la komenco de la falĉado: Hag Shavuot. Poste ĝi estis trasformita en la feston de la renkontiĝo de Dio kun Moseo sur monto Sinaj = Hag Shevuot, la festo de la engaĝiĝoj. En la nova Testamento, Pentekosto estas la festo de la leĝo nova, la leĝo de la Sankta Spirito, la leĝo de la koro, la leĝo de la graco.
Dio estas fajron formanĝanta, ni legas en la Readmono. Per Sia fajra fingro, la Sinjoro skribis la dek ordonojn sur la du ŝtonaj tabuletoj de Moseo. La Sankta Spirito gravuras en nia koro, neforviŝeble,
la ordonon de la amo. Ni esperas, ke la koro estu pli knedebla ol la ŝtono de Moseo. Ne ĉiuj akvoj estas sensoifigaj. Volonte oni trinkas el fonto, kies akvo estas pura, freŝa, kristala; sed, ĉu vi trinkus volonte el trinkokuvo el kiu sensoifiĝas ŝafidoj? De la Sankta Spirito venas helpo por la sankteco, la graco, kiu ekburĝonigas la virtojn, la bondeziroj, kiuj maturiĝas en agadoj de perfekteco, la spirita lumo, kiu gvidas al la ĉielo, la paco, kiu kvietigas la ondojn de la maltrankvilo kaj donas al la animo la eblecon speguliĝi en la konscienco, la konsoloj, kiuj fortikigas kaj puŝas al la decidoj la plej malfacilaj.
Cu eblas maro sen akvo? Cu eblas la suno sen lumo? La Sankta Spirito forĝadas la sanktulojn, ĝi starigis en ni sian tendon, interparolas kun ni, subtenas nin; kial ni volas ĝin ĉagreni, ne obei al ĝi, ĝin forfuŝi? Ĝi estas la majstro, la amiko, la konsolo. Se ĝi estas la amo, kial niaj pensoj, niaj sentoj, nia fantazio ne tremadas je amo? La ĉefaj kondiĉoj, por ke ni povu ricevi la Sanktan Spiriton estas: deziri kaj preĝe alvoki gin je arda atendo; purigi la koron je sentoj ne strebantaj al Dio; humiligi agnoskante nian neniecon; sekvi Lian voĉon kaj Liajn sugestojn cele, ke Li ĉiam glorita estu; ne kontraŭstari Liajn inspirojn; ne permesi, ke la kreitaĵoj okupu nian koron, kiu estas Lia templo; esti fervoraj en la bonaĵoj; daŭre vigligi la flamon de la ĉiela amo; mediti interne de ni la Parolon de Dio; trezorigi la bonajn ekzemplojn. Akvo bona estas, kiam ĝi elfontas el glaciejo. La Sankta Spirito fonto estas de pardono, kiel pri tio nin memorigas la Evangelio. La elverŝiĝo de la Spirito interligita estas kun la sakramento de la konfeso, kun la pardono de la ŝuldoj, kun la renovigo de la intimeco. El floro abelo eltiras mielon, araneo la venenon. Se en vi la egoismo etendis densan araneaĵon, ne facile el vi eliros agoj de bonvolemo kaj de indulgemo. Neniam la Pentekosto finiĝos, ĉar la Sankta Spirito restos vivanta inter ni. Kiam la pastro al vi diras: Mi vin absolvas, kune kun la graco vi ricevas la Sanktan Spiriton. Tamen, ankaŭ dum la Eŭkaristio la Sankta Spirito haltas sur ĉiu el ni. Ankaŭ kiam ni preĝas, se ni preĝas kun fervoro, trankvile, atente, malfermante nian animon al Dio, ni pleniĝas je la Sankta Spirito. Ni ne humiligu ĝin; ĝi disvastigas en nin la parfumon de Dio, la parfumon, kiu konservas el koruptado, la parfumon de la eterna juneco. Aldo Marcozzi vivis nur dek kvar jarojn. Lia profesoro al li diris: Aldo, vi ĉiam ridetas" Aldo respondis: "Mi estas tre feliĉa pri la vivo. Unu el liaj amikoj komentariis: "Aldo gustumis la vivon, ĉar ĉiam, ĉiutage, li interparolis kun Dio". Ankaŭ se li estis tre juna, Aldo Marcozzi estis enamiĝinto de Dio. La rivero frostiĝis, kaj la lutro ne plu povis svingiĝi en la akvo. Iu kamparano rompis la frostigitaĵon; tial la lutro feliĉa sin ĵetis en la akvon. Posi kelkaj minutoj la lutro reelmergiĝis tenante en la buŝo grandan fiŝon, alproksimiĝis alla kamparano kaj al tiu donis la fiŝon. Animalo memoras danki: kaj ni? Ĉu ni memoras dankj la Sanktan Spiriton pro la bonaĵoj, kiujn al ni ĝi donas?


El la homilio de XI jartempa dimanĉo (15-6-2002) pri la evangelio laŭ Mateo (9,36-10, 8): "Jesuo sendas Siajn dek du disĉiplojn prediki Sian savan mesaĝon"

La Eklezio estas misiista. La Sinjoro al vi donis la kredon, por ke vi tiun anoncu kaj tiun vi disvastigu en la mondo. Hodiaŭ ni havas la taskon difini la limojn inter bono kaj malbono, indiki la fundamentojn de la mondo; klarigi la motivojn de la kredo kaj de la espero; krei alternativojn al la tre disvastiĝinta materialismo, allogante atentemon al la valoroj spiritaj; kontraŭi la ne varman kaj ne produkto-donan individualismon, defendante la signifon de la persono kaj ĵetante la fundamentojn de la nova humaneco.
(...)
Jesuo sentas kompaton, vidante la bezonon de la mondo pri evangelizado kaj konstatante la negrandan nombron de evangetizantoj. Ni esperu ke, kiel alifoje okazis en la historio de la Eklezio, ni ne vekiĝu tro malfrue. σπλαγχνίζομαι = Jesuo estas afliktita kaj zorgoplena. Ankaŭ spertoj gravaj ne mankas: en Romo, dum la Sankta Jaro, la katolikaj movadoj liveris de pordo al pordo la Evangelion laŭ Marko. Sed tiaj spertoj devus ĉiamaj kaj tagaj farigi; ni devus fariĝi la vivanta evangelio, kiun la homoj renkontas en la stratoj, en la oficejoj, en la supermarkatoj, en la publikaj veturiloj.
(...)
La grupo de la Apostoloj formita estis de personoj malsamaj pro karaktero, pensomaniero, kulturo, deziroj. Malgraŭ tio, Jesuo tenis ĉiujn kune. Petro estis impeta kaj laŭinstinkta; Jakobo kaj Johano estis tre malmodestaj; ili deziris sidi dekstre kaj maldekstre de la Sinjoro en ties regno; Filipo edukita estis je la rafinaĵoj de la greka filozofio; Tomaso kontraŭe estis empiristo, alkutimiĝinta kredi nur tion kion li vidis kaj tuŝis; Taddeo estis grandanima kaj malavara; kelkaj kodoj difinas lin Λεββατος, kuraĝan. En la nomo de Kristo ne estis konsideritaj iliaj diferencoj, prioritato estis donita je la kununueco kaj je la reciproka bonvolemo; kaj ĉiu predikadis la evangelion en la lando la plej malproksima kaj la plej netrairebla. La evangelizado ne estas akcesoraĵo; ĝi estas fundamenta nia tasko. Sankta Lutgarda Jesuon tiamaniere alpreĝis: "Jen miaj manoj: per ili laboru, ho Jesuo; Jen miaj piedoj: per ili iru tien, kien vi volas; jen miaj lipoj; per ili vi povas daŭrigi la laŭdojn al la Patro. Lutgarda ĉiumaniere amis Jesuon, sine modo, plene, kaj permesis, ke Dio vivu en ŝi. Ĉu ne povus tia programo de vivo valori ankaŭ por ni?



BIBLIA KULTURO

Ĉu kaj kiaj la disĉiploj de Jesuo? Se c'erano, com'erano i discepoli di Gesù?
Ni, kelkaj UECI-anoj, eniras salonon kie famiĝantaj prelegantoj prezentas periode serion da konferencoj traktantaj specialajn temojn kiuj povas grefti konsekvencojn por nia kompreno pri biblio, eble ankaŭ pro nia kredo. Ĉi-semajne oni temas pri la disĉiploj de Jesuo. La aŭskultantaro malmultas, kvankam la urbaj informiloj anoncis la temon kaj antaŭresumetojn.
La rondtabluloj kunvenas tuj en tio: ankaŭ por la priserĉado pri la «historia Jesuo» uzeblas la samaj kriterioj jam aplikitaj koncerne la historio antikva. La rondtabluloj plenumas ion da tempo por ilustri tiujn kriteriojn, kiuj ni nun povas ignori, ne sen tamen malpermesi ke ili filtriĝu.
Noi, alcuni aderenti all’UECI, entriamo in un salone dove relatori, avviati a diventare famosi, presentano periodicamente una serie di conferenze che trattano temi particolari, i quali possono innestare conseguenze per la nostra comprensione della Bibbia, forse anche per la nostra Fede. Questa settimana si tratta dei discepoli di Gesù. Gli ascoltatori sono pochi benchè i mezzi di informazione cittadini avessero annunciato il tema anticipandone un breve riassunto.
I partecipanti alla "tavola rotonda" concordano subito in questo: anche per la ricerca sul "Gesù storico" si possono usare gli stessi criteri già applicati riguardo la storia antica. I relatori passano un po' di tempo ad illustrare quei criteri, che noi ora possiamo ignorare, non senza impedire tuttavia che essi si insinuino
Ĉu Jesuo havis disĉiplojn?
Li havus da tiaj, se la rakontado evangelia ne naskiĝis el retroprojekcio de la iama ĵusiniciatita eklezio. Ja, kio estas retroprojekcio? Temas pri artifikaĵo per kiu la rakontanto atribuas faktojn kaj pensojn de sia menso (kaj utilaj al sia komunumo) al la protagonistaro de lia rakontata historio; tiukaze la praeklezio trovus edife kaj utile por siaj celoj (eksplikaj kaj interpretaj kaj, foje, ruzecaj) elpensi versimilaĵojn naskiĝantajn el bezonataĵoj de sia propagando kaj de pri si defino.
Nun - diras la prelegantoj - el miloj da evidentaĵoj oni estas devigata koncedi kaj certigite aserti ke Jesuo sin ĉirkaŭis per disĉiploj. La termino "disĉiplo" blinkas en la evangelioj 233 fojojn; krom en Agoj (28 fojojn), la vorto (greke: μαθηται) ne plu aperas en la ceteraj novtestamentaj libroj. La vorto, do, karakterizas la evangeliojn, do (diras kompetentuloj) ĝi certe originalas kaj preterglitigas la eventualecon de anakronisma retroprojekcio. Tiom pli ke la vorto malĉeestas en la apokrifaĵaj libroj kaj en la skriboj Qumranaj kaj en la protokanonaj kaj duonkanonaj. Eĉ la verkoj de Filone kaj de Flavio Jozefo ne uzas tiun vorton, kvankam ne estas ignorata la senco.
Favoras la originalecon de la vorto «disĉiplo» en la evangelio ankaŭ la fakto ke Jesuo alvokas al sia sekvo personojn kiuj neniam prenis tian iniciaton. Lia invito sonas ordone (venu!, forlasitajn la retojn ili lin tuj sekvis, ktp), Li ne toleras hezitojn kaj malfruon, spite de ĉiupecaj cirkonstancoj. Tio distingiĝas plejprecize disde aliaj alvokoj, ĉe aliaj samspecaj majstroj: en tiuj ĉi kazoj personoj serĉas spiritan gvidanton kaj la rilato limiĝas al iu tempo. Johano Baptisto, ekzemple, alvokas, invitas la disĉiplaron al pentofaro kaj, fine, lasas ke iu rehejmiĝu! Ĉe Jesuo la disĉiplado estas definitiva, seninterompa! Aldonendas ke eĉ la plej sincera deziro disĉipliĝi ĉe tia Majstro, por Jesuo ne sufiĉas por eniri la etan gregon de intimuloj speciale informiĝontaj: kiam la eksdemonposedito de Geraza petas de Jesuo la permeson resti ĉe li, Jesuo ne konsentas. Ne embarasas la fakto ke la juna riĉulo jam fidele praktikanta la mosean leĝon, simpatie rigardata kaj ordone invitita de Jesuo al ties sekvo, fakte rifuzis: ne embarasas ĉar en la evangelio eminentas ĉiam la konsento de la libera elekto.
Gesù ebbe dei discepoli?
Ne avrebbe avuti, se il racconto evangelico non fosse nato da una retroproiezione della Chiesa di allora appena iniziata. Bene, che cos’è una retroproiezione? Si tratta di un artificio con cui colui che racconta attribuisce fatti e pensieri della sua mente (e utili alla sua comunità) ai protagonisti della storia da lui raccontata; in quel caso la Chiesa primitiva troverebbe edificante ed utile ai i suoi scopi (esplicativi ed interpretativi e, a volte, furbeschi) ritrovare verosimiglianze nate dai bisogni della sua propaganda e per la sua propria autodefinizione.
Ora, dicono i relatori, da migliaia di fatti evidenti, si è obbligati a concedere ed asserire dopo essersene accertati, che Gesù si circondò di discepoli. Il termine "discepolo" appare nei Vangeli 233 volte; eccetto che negli "Atti" (28 volte), la parola (in greco: μαθηται)non compare più negli altri libri neotestamentari. La parola, dunque, caratterizza i Vangeli, quindi (dicono gli esperti) certamente è originale e fa superare l’eventualità di un’anacronistica retroproiezione.Tanto più che la parola è assente sia nei libri apocrifi, sia negli scritti di Qumran, sia nei protocanonici sia nei deuterocanonici. Persino le opere di Filone e di Giuseppe Flavio non usano questa parola, benchè il senso non ne sia ignorato.
Favorisce l’originalità della parola "discepolo" nel Vangelo anche il fatto che Gesù chiama al suo seguito persone che mai avevano preso questa iniziativa. Il Suo invito suona come un ordine (venite!, lasciate le reti essi subito lo seguirono, ecc.), non tollera esitazioni e ritardi a dispetto di circostanze di ogni tipo. Questo si distingue più precisamente dalle altre chiamate presso altri maestri dello stesso tipo: in questi casi delle persone cercano una guida spirituale e la relazione si limita ad un certo tempo. Giovanni Battista, ad esempio, chiama, invita i suoi discepoli a pentirsi ed, alla fine, lascia che qualcuno torni a casa! Presso Gesù la sequela è definitiva, continuativa! Bisogna aggiungere che persino il desiderio più sincero di diventare discepoli di un tale Maestro, per Gesù non è sufficiente per entrare nel piccolo gregge di intimi da informare in modo speciale: quando l’ex-indemoniato di Gerasa chiede a Gesù il permesso di restare presso di Lui, Gesù non acconsente. Non mette in imbarazzo il fatto che il giovane ricco, che già pratica fedelmente la Legge mosaica, guardato con simpatia ed invitato con un ordine da Gesù alla Sua sequela, di fatto ha rifiutato: non mette in imbarazzo poiché nel Vangelo è sempre eminente il consenso della libera scelta.
Kromaj trajtoj de la disĉiplado ĉe Jesuo.
Al la disĉiploj de Jesuo estas ordonite forlasi sian domon, gepatrojn, kaj vivimediaron. Signifoplene impresas la okazoj prezentitaj en Luko 9, 58-60 kaj Mateo 8, 19-22. Laŭ oniscio, kaj reliefigite de la rondtabluloj, disĉiple sekvi Jesuon signifas kundividi ties sorton de vaganto, nome de persono sen fiksa loĝejo, preskaŭ senpatruja, al kiu la tradicia hebrea saĝo neas iun ajn konfidon. Eble «senpatruja» ne multe plaĉas, sed ĉar en la praeklezio Jesuon oni priskribis kiel persekutaton kaj kondamniton, neniam kiel vaganton, tia nocio kongruas certe kun la Jesua radikalismo. Ke tiuj tekstoj estas originalaj, tio estas, ne retroprojeciaj aldonaĵoj de la ekleziaj medioj, trovas konfirmon el tio, ke Jesuo ne permesas al la junulo alvokta ke li revenu al la hejmo por enterigi sian patron kontraŭante tiel la etnan normon de fileca amo de la meditaranea civilizo, kaj kiam li krias ke (Lk 14, 26) kiu «ne malamas siajn patron kaj patrinon»  ne povas esti lia disĉiplo: tio ĉio montras ke se la koncernaj tesktoj estus frukto de la retroprojekcianta kristana komunumo, tiu ĉi evitus tiajn krudecojn, sendube impresantajn, almenaŭ unuavide, negative, kvamkam, pli profunde rigardata, per tiu esprimo evangeliistoj povus celi evidentigi nur la radikalecon de la ĉejesua disĉipliĝo.
Ulteriori caratteristiche della sequela di Gesù.
Ai discepoli di Gesù è stato ordinato di lasciare la propria casa, i genitori e le amicizie.
Impressionano significativamente gli eventi presentati in Luca 9, 58-60 ed in Matteo 8, 19-22. Secondo la conoscenza comune e come rilevato dai partecipanti alla tavola rotonda, seguire Gesù come discepoli significa condividere la Sua sorte di nomade, cioè di una persona senza fissa dimora, quasi senza una patria, a cui la tradizionale saggezza ebraica nega qualsiasi fiducia. Forse "senza patria" non piace molto, ma poiché nella Chiesa primitiva si descriveva Gesù come un perseguitato e condannato, mai come un nomade, una tale nozione certamente concorda con il radicalismo di Gesù. Che questi testi sono originali, cioè non sono aggiunte retroproiettive di ambiente ecclesiastico, trova conferma dal fatto che Gesù non permette al giovane chiamato che egli torni a casa per seppellire suo padre, contrastando così la norma etnica di amore filiale della civiltà mediterranea, così come quando grida che (Lc 14,26) colui il quale "non odia suo padre e sua madre" non può essere suo discepolo: tutto ciò dimostra che, se questi testi fossero stati frutto della comunità cristiana retroproiettante, questa avrebbe evitato tali crudezze, senza dubbio impressionanti negativamente, almeno a prima vista, benchè, guardata più profondamente, con questa espressione gli evangelisti potrebbero mirare a mettere in evidenza solo la radicalità della sequela di Gesù.
Disĉiploj je kompleta dispono de la majstro.
Al la disĉiploj estas postulata sendiskuta fideleco, malgraŭ la elvringe konigitaj riskoj («oni traktos vin kiel oni traktis min», «oni kondukos vin antaŭ juĝistoj»…), dum la majstro forigas neniun el siaj misioceloj, eĉ li ŝajnas preferi ĝuste tiujn kiuj kondutas eksternorme: vidu la samarianinon, la kisantantinon de liaj piedoj, Zakeon ktp. Elpensi tiun disĉiplecon - rigoran kaj tute dediĉita al li - kaj samtempe ĝin inondi per tiaj cirkonstancoj riskus alglui al Jesuo ion tro kontraŭan al la komunaj atendoj kaj, ĉiukaze, iom neŭrozigan.
Oni notigis ke se Jesuo pretendas certe elekti persone siajn disĉiplojn malakceptante la bonintenculojn, kiuj sin ofertas al lia sekvo, en la faktoj li ŝajnas selekti kun malmulte da sagaco: elektas dekdu, sed unu el ili lin perfidas, iu alia neas esti lin koninta, kaj ĉiuj lin forlasas okaze de lia aresto. Eble ĝuste fronte de tiu ruiniĝo, Luko rezignas komuniki la nombron de la disĉiploj. Kaj reveninte, ŝajnas ke ili ankoraŭ revas pri la esperita Izraela regno («ĉu estas nun la tempo de la restarigo de la regno de Izraelo?… », laŭ Agoj 1). Apogite sur psikologiaj kutimaj, faritaj tiukaze leĝoj de interpretado de la historiaj tekstoj, fakuloj opinias ke la praeklezia komununo ne povis uzi tian aŭdacon atribuante al Jesuo tiom da malbelaj malsukcesoj. Ĝi ne pentris Jesuon proklamantan "vi sidos sur la tronoj por juĝi la dekdu izraelajn tribojn": profetaĵo neniam plenumita! Se temus pri elpensaĵo lia, la prakomunumo elpensus ion malpli kompromitan kaj sukcesmankan!
Malfacilas imagi ke la eka komunumo regalis la princon de la apostoloj per la neniel simpatia nomo "Satano" kontraŭ li lanĉita de Jesuo mem, nome de kiu lin jam levis super la aliaj disĉiploj (Mateo).
Kaj laŭ ni, ĝuste el tiuj tro originalaj faktoj kaj diroj travideblas geniaj celoj: Jesuo travive traktas kun pekuloj kaj rondirigas sin kaj disĉiplan rondeton inter pekuloj, tra kiuj sin sentas tiaj eĉ liaj disĉiploj mem. Pekuloj, certe, estas ni ĉiuj kaj, do, ankaŭ pro tiu ni rajtas kunstari ĉe Kristo. Krome oni povas, eĉ oni devas, sed senpene, derivigi el tio la forlason aŭ ignoron de ĉiu pretendo de pureco: la pekstato malhelpas kaj samtempe ligas al Kristo: la komunumo perfekta kaj sankta estas idealo travivata inter pekuloj pentolarmantaj! Liaj disĉiploj lernu kiel travivi kun pekuloj kiuj reprezentas eĉ ilin mem!
Discepoli a completa disposizione del Maestro.
Ai discepoli è richiesta una fedeltà indiscussa, malgrado i rischi preannunciati, quasi estorti, ("vi tratteranno come hanno trattato me", "vi condurranno dinanzi ai giudici"...), mentre il maestro non rinuncia a nessuno dai suoi scopi missionari, sembra persino preferire quelli che si comportano fuori dalla norma: vedi la samaritana, colei che bacia i Suoi piedi, Zaccheo, ecc. Inventare questo modo di essere discepoli – rigoroso e di completa dedizione a Lui – e nello stesso tempo inondarla con queste circostanze, rischierebbe di attribuire a Gesù qualcosa troppo contraria alle aspettative comuni e, comunque, di un po’ nevrotica.
Si è già fatto notare che, se Gesù pretende certamente di scegliere personalmente i Suoi discepoli rifiutando i bene intenzionati, che si offrono di seguirlo, nei fatti Egli sembra scegliere con poca sagacia: sceglie dodici, ma uno di essi Lo tradisce, un altro nega di averlo conosciuto e tutti Lo abbandonano in occasione del Suo arresto. Forse proprio di fronte a questa rovina Luca rinuncia a comunicare il numero dei discepoli. E ritornando, sembra che essi sognino ancora lo sperato regno di Israele ("E’ ora il tempo della restaurazione del regno di Israele?…" secondo Atti 1). Essendosi appoggiati sulle usanze psicologiche diventate, in questo caso, leggi di interpretazione dei testi storici, gli esperti ritengono che la comunità della Chiesa primitiva non poteva usare una tale audacia attribuendo a Gesù tanti brutti insuccessi. Forse che essa non rappresentava Gesù che proclamava "siederete sui troni per giudicare le dodici tribù di Israele?" profezia mai avveratasi! Se si trattasse di una propria pensata, la comunità primitiva avrebbe trovato qualcosa di meno compromettente e fallimentare.
E’ difficile immaginare che la comunità iniziale offrisse al principe degli Apostoli il non simpatico nome "Satana", lanciato contro di lui da Gesù stesso, cioè proprio da colui che lo aveva già elevato al di sopra degli altri discepoli (Matteo).
E, secondo noi, proprio da questi fatti e detti troppo originali si intravvedono scopi geniali: Gesù per tutta la vita tratta coi peccatori e si aggira con la piccola cerchia dei discepoli tra i peccatori in mezzo ai quali si sentono tali anche i suoi discepoli. Peccatori, certamente siamo noi tutti, dunque, anche per questo abbiamo il diritto di stare con Cristo. Inoltre si può, persino si deve, ma senza affanno, far derivare da ciò l’abbandono o la dimenticanza di ogni pretesa di purezza: lo stato di peccato ostacola e nello stesso tempo lega a Cristo: la comunità perfetta e santa è un ideale vissuto tra peccatori piangenti per il pentimento! I suoi discepoli imparino come vivere con i peccatori tra i quali essi stessi sono rappresentati!
Disĉiploj kaj disĉiploj
Se ni ne disdegnus nin bildigi similantaj al tiuj kiuj petis, kaj ne obtenis, de Jesuo fariĝi liaj disĉiploj, fronte al lia rifuzo sendube ni suferus… Sed senmotive! Ekzistas, ĉe Jesuo, alia disĉipla kategorio, bonŝance: malsimila rilate la specifajn funkciojn de la adeptoj de unua kategorio, simila, tamen, rilate la inviton kaj restadon en la dia regno: la kredo je Li kaj kunlaboro en lia misiado! Tiun kategorion prezentis la sennombraj aŭskultantoj kaj dialogantoj kun Jesuo laŭ stratoj de Palestino: tiuj estas ni al kiuj, kaj pri kiuj, estas dirate "iru kaj faru sammaniere", "kaj kredis li mem kaj tuta lia domo (Joh 4, 53)"… Dum ni aplaŭdas al la disĉiploj de la unua kategorio, ni, la dua kategorio, situiĝas en la sama regno.
Opinieblas do, ke tio kion Jesuo instruis al siaj intimuloj de mem persone elektitaj validas eĉ por "disĉiploj" aŭskultantoj de liaj vortoj: tio komfortas kaj tio sonas promese. El ĉiuj jen iuj liaj diroj. "ĝoju eta grego… ĉar plaĉis al Patro via doni al vi regnon ", "beataj kiuj ne vidis kaj kredis", tekstoj atribuataj, eĉ ĉe modernaj bibliaj fakuloj,  al la originale registritaj evangeliaj Jesuaj diroj kaj faroj.
Discepoli e discepoli
Se noi non disdegnassimo di raffigurarci assomiglianti a quelli che avevano chiesto e non avevano ottenuto da Gesù di diventare suoi discepoli, di fronte al Suo rifiuto, senza dubbio, avremmo sofferto... Ma senza motivo! Per fortuna esiste presso Gesù un’altra categoria di discepoli: diversa, in relazione alle funzioni specifiche della prima categoria, tuttavia simile in relazione all’invito ed al restare nel regno di Dio: la fede in Lui e la collaborazione nella Sua missione! Rappresentavano questa categoria gli innumerevoli ascoltatori ed interlocutori di Gesù lungo le strade della Palestina; quelli siamo noi a cui e di cui è detto: "andate e fate allo stesso modo", "e credette lui stesso e tutta la sua casa (Gv.4,53)"… Mentre applaudiamo i discepoli della prima categoria, noi, la seconda categoria, ci poniamo nello stesso regno.
Si può dunque ritenere, che ciò che Gesù insegnò ai suoi intimi, scelti personalmente da Lui stesso, è valido anche per i "discepoli" ascoltatori delle Sue parole: ciò conforta e suona come una promessa. Tra tutte ecco alcune Sue parole:"goisci, piccolo gregge… perché è piaciuto al Padre tuo donarti un regno", "beati quelli che non hanno visto ed hanno creduto", testi attribuiti, anche dai moderni esperti della Bibbia, alle parole ed alle azioni evangeliche di Gesù registrate dall’originale.
Armando Zecchin Armando Zecchin
traduzione di Silvia Garnero


QUOTE E NORME ASSOCIATIVE ANNO 2005 ů

Associato ordinario con Katolika Sento (SO) 17,00  €
Associato giovane (SG) 8,50  €
Associato familiare (SF) 8,50  €
Associato ordinario con Espero Katolika (SOE) 38,00  €
Solo abbonamento a Katolika Sento (AK) 10,00  €
Solo abbonamento a Espero Katolika (AKE) 21,00  €
Associato sostenitore (SS) 34,00  €
Associato sostenitore con Espero Katolika (SSE) 76,00  €

Il periodico Katolika Sento viene inviato a tutti gli associati, tranne che per i familiari.
E' associato giovane chi non ha superato i 25 anni.
E' associato familiare chi convive con altro associato.
Per l'abbonamento all'estero aggiungere 6 euro per spese di spedizione.
Specificare nella causale del versamento la categoria dell'associato, l'anno di nascita dei giovani, l'esatto indirizzo per il recapito del periodico K.S., la destinazione di eventuali offerte.
I gruppi locali con almeno 10 soci trattengono 2,10 euro per l' associato ordinario e 1,05 per l'associato giovane o familiare, mentre la quota dei soci individuali va interamente all'UECI.

I versamenti vanno fatti sul C.C. Postale n. 47127675
Unione Esperantista Cattolica Italiana U.E.C.I


LETEROJ AL REDAKTEJO

Giacomino Martinez, ci manda il seguente messaggio a integrazione e parziale correzione del programma del convegno su "Don Bianchini e l'Esperanto" .

Comunico che il giorno 18 giugno 2005, alle ore 18.00, in località Cimpello di Fiume Veneto (PN), avrà luogo il convegno "Don Giacomo Bianchini e l'Esperanto". Questo il programma definitivo:

ore 17.00: celebrazione della Santa Messa in Esperanto nella Parrocchiale.
Sacerdote: Don Nello Marcuzzi del gruppo Nova Espero Friuli;
ore 18.00 presso il Centro Parrocchiale, conferenza:
. "Don Giacomo Bianchini e il suo tempo" (Prof. G. Strasiotto):
. "Il Pastore Don Giacomo Bianchini" (Don V. Zanette);
. "Don Giacomo Bianchini e l'orrido di Pradis" (Don T.Cataruzza);
. "Don Giacomo Bianchini e le testimonianze" (Don A. Zanette);
. "L'esperantista Don Giacomo Bianchini" (G.Martinez).
ore 20.30 apertura della mostra riguardante documenti, foto, libri di Don Giacomo Bianchini e di Esperanto

Preciso che il Prof. Carlo Minnaja ha dovuto disdire l'impegno perchè incaricato dall'Università di Padova di tenere delle conferenze nello stesso periodo.

Il convegno, inserito nelle attività per commemorare il famoso esperantista friulano, è patrocinato anche dalla Federazione Esperantista Italiana e dal Club UNESCO di Udine, Membro della Federazione Italiana dei Club UNESCO Associata alla Federazione Mondiale.

Cordiali saluti. Giacomino Martinez del gruppo Nova Espero Friuli



“LA PARAGRAFO 32”

La fenestro sur la mondo

Penso che sia ben nota la mia passione per i mappamondi.
Dopo il primo, in legno, alto 2 metri e collocato in un gazebo, avendo avuto a disposizione una bella parete bianca, ho pensato di farvi anche qui qualcosa attinente al mondo. Adoperando una grossa corda simile a quelle usate in marina e fissandola alla parete con numerosi tasselli ad espansione, ho realizzato un bel cerchio di 3 metri di diametro. Con delle corde più piccole, ho poi tracciato i meridiani ed i paralleli così da ottenere una rappresentarzione della terra. Nei 160 riquadri che automaticamente si sono venuti a formare, ho scritto il nome, in Esperanto, delle lingue più parlate nel mondo. Nel bel mezzo di questo mappamondo ho poi inserito una finestra con le sue brave persiane.
Quando l'ospite in visita al mia "Esperanta Ĝardeno" giunge davanti a questa realizzazione, spiego che queste corde che avvolgono il mondo simboleggiano i legacci che stringono e soffocano tutte le lingue del mondo, impedendo loro di poter comunicare l'una con l'altra.
< Finché – soggiungo io – un bel giorno si è aperta una finestra sul mondo per rompere questa corde ! >
A questo punto, gli chiedo gentilmente di aprire questa finestra....la sorpresa è sempre garantita!
Aprendo le persiane infatti si attiva un registratore nascosto nella cavità di in un libro di legno sul quale campeggia la parola Esperanto in lettere metalliche, quindi si odono le gaie note dell'inno dell'Esperanto. Nella finestra, a fianco del libro musicale, ho collocato un il busto di Zamenhof (abbastanza rassomigliante), da me scolpito, con tanto di "papillon" e distintivo dell'esperanto.
Questa è una delle mie realizzazioni più riuscite e sempre crea grande buon umore tra i miei ospiti.
Johano el Kor-mano


Parlamento Italiano
Una proposta di legge per l'esperanto

In data 10 marzo 2005 è stata presentata al parlamento italiano una proposta di legge d’iniziativa dei deputati Emerenzio Barbieri, Michele Ranieli e Antonello Mereu (UDC) dal titolo: "Disposizioni in materia di accesso allo studio e all’uso della lingua internazionale esperanto". L'11 aprile 2005 il testo è stato assegnato in sede referente alla commissione VII (Cultura).

Eccone il testo (Camera dei Deputati doc. N. 5714):

PROPOSTA DI LEGGE

ART. 1.
1. Tra gli insegnamenti elettivi di lingua straniera nella scuola statale dell’obbligo, è introdotto l’insegnamento della lingua internazionale esperanto.
2 L’insegnamento di cui al comma 1 è istituito secondo un programma e orari stabiliti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di seguito denominato « Ministro », con le modalità previste dalla legislazione vigente per le lingue straniere.
3 Con decreto del Ministro sono altresì stabilite le modalitè per la costituzione di cattedre e di incarichi di insegnamento della lingua internazionale esperanto.

ART. 2.
1 Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 1, il Ministro può istituire, con proprio decreto, l’insegnamento della lingua e della letteratura esperanto, in conformità alle disposizioni vigenti per gli insegnamenti e i programmi di lingue e di letterature straniere, nelle scuole e negli istituti il cui piano di studi comprende l’insegnamento di almeno due lingue straniere.
2 Il Ministro provvede a fornire adeguata informazione e sensibilizzazione sulle motivazioni della scelta della lingua internazionale esperanto.

ART. 3.
1 Con decreto del Ministro, ai sensi dell’articolo 40 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sono stabiliti i titoli validi per l’ammissione ai corsi di abilitazione di lingua e letteratura esperanto e le relative classi di concorso.
2. Fino a quando non siano istituiti i corsi universitari di lingua e letteratura esperanto, possono essere ammessi ai corsi di abilitazione candidati in possesso del diploma di laurea e del diploma di magistero, rilasciato dall’Istituto italiano di esperanto, oppure in possesso di diplomi universitari stranieri riconosciuti equipollenti alla laurea italiana in lingua e letteratura esperanto.

È interessante anche la lettura della lunga prolusione di presentazione della legge (7 pagine), perchè presenta in modo dettagliato, agli "onorevoli colleghi" le motivazioni e le peculiarità di questa lingua. Chi fosse interessato al testo completo lo può trovare nel sito della Camera: www.camera.it/_dati/leg14/lavori/stampati/pdf/14PDL0072100.pdf
In sintesi il discorso parte dall'attuale dibattito sulle lingue di lavoro negli organismi comunitari per segnalare i pericoli dell'affermarsi di una o di qualche superlingua a discapito delle altre e d'altra parte si sottolinea il costo eccessivo del multilinguismo adottato a Bruxelles che tra l'altro risulta paralizzante e quindi impraticabile. Si propone quindi l'adozione di una lingua ausiliaria internazionale. Scartata l'ipotesi del latino perchè verrebbe snaturato per adattarlo alle moderne esigenze espressive, si propone l'uso dell'esperanto. Si passa ad elencare i vantaggi di questa scelta e si danno indicazioni sulla struttura della lingua. Tra i vantaggi si ricorda che l'E-o "non è colonizzante perchè, richiedendo un modesto tempo di apprendimento, non stimola quell’inconscia necessità di essere usata quando non serve, cioè fuori dai rapporti internazionali", è una lingua viva con una sua letteratura autonoma e ha "superato le difficoltà determinate da due guerre e da periodi di regimi nazionalistici, che hanno cercato di soffocarlo". Riportando da uno scritto di Claude Piron: "Il vantaggio dell’esperanto risiede principalmente nel fatto che rispetta il discente maggiormente di qualsiasi altra lingua, perchè anzichè riempirlo di difficoltà, umiliandolo, l’esperanto si adatta all’istinto naturale dell’uomo che generalizza le regole e le strutture grammaticali. In questo modo, dopo il periodo iniziale si entra in confidenza con la lingua sentendosi ben presto a proprio agio. Ciò deriva dal fatto che la lingua internazionale richiede per se stessa una capacità di dedurre più che una capacità di memorizzare, cioè si affida più sull’intelligenza dell’individuo che sulla sua memoria". Per quanto riguarda le caratteristiche della lingua, si fa riferimento al suo alfabeto, alla fonetica e alla sua struttura agglutinante. Si sottoliea poi la sua efficacia propedeutica per l'apprendimento delle altre lingue straniere e si continua con un elenco delle principali istituzioni culturale esperantiste e delle attuali opportunità di apprendimento della lingua. Segue un esame degli articoli della legge proposta.

Johano el Kor-mano



AMUZE

En Ĝangalo
La kanibal-instruisto instruas al etaj lernantoj kiel havigi al si bonan manĝaĵon. Iumomente el la ĉielo oni aŭdas bruo kaj lernanto demandas:
- Kio estas tio kiu flugas super ni?
- Ĝi estas skatoleto: kiam vi hazarde trovos unu el ili sur la tero manĝu nur ĝian enhavon, alimanierere vi riskas endanĝerigi viajn dentetojn.

***

Akcelu!
Masonisto laboradis en 40a etaĝo de konstruaĵo kiam li malekvilibriĝis kaj falis! Falo estis drama sceno. Dum lia falo, laborkolego kriegis el supre:
- Akcelu, Jozefo! Alvenas brikaĵo post vi!!!

(sendis Silvia Garnero)

***

Vortludo
- Kia diferenco estas inter iu ajn anoreksia knabino kaj la Madono?
- !?
- La knabino ĉiam estas en dieto, Sankta Maria naskis Dieton...

(sendis Diego Fiumarella)

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Falo
- Mi falis de ŝtuparo 15 metrojn alta
- Ho! kiel vi sukcesis postvivi?
- Ĉar bonŝance, mi estis nur sur la tria ŝtupo

(sendis Felice Sorosina)

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Reveninte el la lernejo
Filo alparolas la gepatrojn:
- Mi havis bileton de la instruistino por vi, sed ĝin mi forĵetis: mi ja havas sufiĉe da problemoj per mi mem.

***

Vidpunktoj
Geedzoj hejmen revenas post vespermanĝo ĉe amikoj.
- Ĉu vi rimarkis - diras la edzo - la sunan ridesprimon de sinjorino Bianchi, kiam mi diris al ŝi, ke ŝi ŝajnas pli juna ol la filino?
- Ne - respondas la edzino - Mi estis tro ŝokita pro la grimaco sur la vizago de la filino.

(sendis +Glauco Corrado)

***

Infana logiko
- Panjo, mi havas stomak-doloron
- Estas nenio Joĉjo. Via stomako doloras ĉar ĝi estas malplena.
Postagmeze alvenas amikino de la patrino por viziti ŝin.
Iumomente ŝi diras:
- Mi havas kapdoloron
Kaj la knabeto, trankviligema:
- Estas nenio sinjorino. Via kapo doloras ĉar ĝi estas malplena.

***

Prahistorio
- Kion alvenas post la epoko da la fero ?
- La epoko de la rusto.

***

Rehejmeninte el la lernejo
- Panjo, hodiaŭ ni lernis novajn fivortojn
- Kiel !?
- Ni metis desegnopinglon sur la seĝon de la instruisto.

***

Fratineto
Joĉjo montras orgojle al amiko sian fratineton kiu estas rigardanta libron ilustritan:
- Bedaŭrinde oni ne scias ĉu ŝi legas ĝin aŭ rigardas nur la bildojn, ĉar ŝi ankoraŭ ne kapablas paroli.

(sendis Dori Pozzi)



COMITATO CENTRALE U.E.C.I.

Presidente: Giovanni DAMINELLI, via Lombardia 37, 20099 Sesto S.Giovanni (MI) – tel. 02.2621149
Vice presidente: Paola AMBROSETTO, via Emo 9/C, 30173 Mestre (VE) – tel. 041.5341532 – fax 041.612516
Segretario generale: Diego FIUMARELLA (delegato giovanile), Corso Italia 11, 10090 Castagneto Po (TO) – tel. 011.9132048
Consiglieri:
don Duilio MAGNANI (segretario per l'informazione), viale C.Zavagli 73, 47900 Rimini, tel.-fax 0541.26447
Giovanni CONTI (cassiere e organizzazione congressi), via F.Filzi 51, 20032 Cormano (MI) – tel. 02.66301958 – fax 02.66302110
Luciano MANTAUT, Via Arno 44, 10148 Torino TO, tel. 011.2266762
Ionne DE ANGELI BERTOZZI, via Quercioli 114, 54100 Massa (MC) – tel. 0585.792066
Silvia GARNERO, Via Cavour 40, 10036 Settimo Torinese (TO) – tel. 011.8000078 oppure 0118012635
Assistente Ecclesiastico: mons. Giovanni BALCONI, p.zza Duomo, 16, 20122 Milano, tel. 02.878014 (ab.) - 02.8556274 (Curia);
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