Enhavo:
Secondo gli avversari dell'esperanto, tre sono i vizi capitali che impediscono a questo idioma di assurgere a rango di lingua internazionale; ebbene io mi riprometto di dimostrare che non si tratta di vizi, ma di splendide virtù... Primo vizio: "L'esperanto è una lingua artificiale in quanto creata a tavolino mentre le lingue vere sono organismi viventi che si sviluppano liberamente nel tempo". In realtà le cose non stanno proprio così. Infatti, l'irlandese, il norvegese, l'indonesiano, l'israeliano, etc.... sono stati creati a tavolino in epoca relativamente recente, derivando i vocaboli dai dialetti locali, l'israeliano soprattutto, dall'aulico ebraico, con razionalizzazione della grammatica. Identico è il criterio seguito per l'esperanto con la sola differenza che per esso i vocaboli derivano, anziché dai principali dialetti dell'ambito nazionale, dalle principali lingue in ambito europeo e quindi, nell'epoca in cui è nato l'esperanto, dalle principali lingue mondiali. Ma questo grado di artificialità, per una lingua quale l'esperanto che è stato concepito con l'intento di fargli assumere il ruolo di lingua internazionale per eccellenza, costituisce un pregio e non già un difetto. Infatti ne è uscita una lingua con un'ampia base lessicale e quindi con un ampio respiro internazionale e pertanto minimamente discriminante, e inoltre particolarmente logica e quindi di facile apprendimento. Secondo vizio. "L'esperanto è una mistura di lingue, mentre le lingue nazionali sono pure". In realtà tutte le lingue sono più o meno inquinate da lingue straniere; la stessa nostra lingua, figlia primogenita del latino ha mutuato non pochi vocaboli dal greco antico, e soprattutto l'inglese, il cui lessico è formato da vocaboli derivanti dal ceppo latino e dal ceppo germanico, non è forse un guazzabuglio di lingue diverse? Tale fatto però non lo penalizza nella sua funzione di lingua internazionale, anzi come già visto, si tratta di un pregio. Terzo vizio. "L'esperanto pretende d'interrompere la consuetudine secondo la quale la lingua internazionale è quella del popolo o della cultura che detiene il primato del mondo". A questo proposito si può facilmente prevedere che i popoli saranno sempre meno disposti a tollerare discriminazioni di qualsiasi genere e come, inaspettatamente, nel volgere di pochi lustri, sono crollate le dominazioni coloniali, è inevitabile che prima o poi ciò accada anche in campo linguistico. Ne è prova nell'Unione Europea la forte opposizione della Francia al predominio dell'inglese e la crescente insofferenza della Germania, sia pure mitigate dal nostro ingiustificato entusiastico favore. Se fosse valido il succitato principio, non si capirebbe perché nell'Unione Europea sia stato introdotto l'obbligo dello studio di due lingue straniere, infatti sarebbe stato più che sufficiente l'apprendimento del solo inglese con notevole risparmio di tempo, denaro e sacrifici. Inoltre il passato dimostra che finché la lingua internazionale sarà legata alle fortune di un paese essa è destinata di passare di moda con il migrare del primato da un paese all'altro. Avantieri imperava il latino, ieri il francese, oggi è la volta dell'inglese, domani forse del tedesco, in una corsa sempre più frenetica, perché il mondo ruota sempre più in fretta. Comunque, la conferma più clamorosa della validità dell'esperanto come lingua internazionale proviene da un grande linguista, eminente italianista ed esperantista, il Prof. Bruno Migliorini (Rovigo 1896 - Firenze 1975). Egli infatti fu presidente dell'Accademia della Crusca, accademico dei Lincei, fondatore della prestigiosa cattedra di Storia della Lingua Italiana dell'Università di Firenze, autore di una monumentale Storia della Lingua Italiana e di altre numerose opere, soprattutto di carattere filologico. In campo esperantista egli fu vicepresidente della "Akademio de Esperanto", l'equivalente dell'Accademia della Crusca, e oltre a numerosi saggi scrisse anche una grammatica di esperanto. Infine, un incoraggiamento di grande rilevanza arriva dalla Santa Sede. Infatti se Paolo VI ha dato inizio ai programmi della radio vaticana in esperanto. Giovanni Paolo II è andato ben oltre. Egli infatti, dopo l'approvazione del messale festivo in esperanto, su diretto suo interessamento e l'ammissione dell'Organizzazione mondiale degli Esperantisti Cattolici (IKUE) nel Pontificio Consiglio per i Laici, per la prima volta un Papa "osa" esprimersi pubblicamente in esperanto e ciò addirittura in mondovisione, a Pasqua e a Natale, in occasione della benedizione "Urbi et Orbi". Di fronte a consensi tanto qualificati penso proprio che per noi poveri mortali non esista via di scampo a una resa senza condizioni per cui, concludendo, si può affermare che l'esperanto rappresenta quanto di meglio può offrire l'attuale "mercato" mondiale delle lingue, per una soluzione radicale del millenario problema della comunicazione tra popoli di lingua diversa.
Leo Franzoni
È strano che alle soglie dell'anno Duemila ci siano ancora intellettuali e scrittori, anche cattolici, che avversino una lingua che racchiude in sé tutti i requisiti per essere universale: regolarità, semplicità, logicità. Sono convinto che per la sua ufficializzazione in campo mondiale sia necessario un provvedimento politico, tuttavia nonostante i pregiudizi di molti, la mancanza di appoggio da parte di governi, l'esperanto funziona e si è diffuso in tutto il mondo perché è frutto di libera scelta, e questo ha un valore morale, "concettuale" inestimabile. Né inglesi, né americani, pur pagando profumatamente, per ventisei anni, i migliori linguisti del mondo per creare una lingua internazionale ausiliaria, apparsa nel 1951 e basata sulla naturalezza delle lingue, sono riusciti a superare il progetto scientifico del dr. L.L. Zamenhof. Perché non optare per l'esperanto finché non si escogiterà un altro progetto che lo superi? L'uomo rimane un mistero insondabile... Propongo alla riflessione degli associati UECI uno stralcio di quanto ha scritto Franco FOCHI nel libro "E con il tuo Spirito" dal sottotitolo: Chiesa e lingua italiana a più di trent'anni dalla riforma liturgica. Neri Pozza Editore. Non è indicata la città, so che è Vicenza e l'edizione è del 1997. A primo acchito, la mia impressione è che probabilmente chi ha scritto quanto sotto riportato l'abbia fatto senza conoscere o, perlomeno, senza avere approfondito la lingua... imputata. Nel 1976, a dieci anni dal Concilio Vaticano secondo e dall'introduzione delle lingue nazionali nella liturgia, fu proibito di celebrare la messa in esperanto e si parlava, allora, di pratica impossibilità di introdurlo come lingua liturgica. Perché? Perché una lingua per essere lingua liturgica doveva rispondere a tre principi: primo essere parlata dal popolo, secondo essere insegnata nelle scuole, terzo avere l'approvazione della Conferenza Episcopale internazionale, nazionale o regionale. Non era il caso dell'esperanto... sono occorsi più di dieci anni per capire che una lingua pur pianificata dall'inventore, presentava un "grande valore pastorale" per tutti quei cultori che sono educati al dialogo su un piede di parità e al superamento di ogni etnocentrismo. Gli esperantisti cattolici esprimono gratitudine al Santo Padre per avere capito l'importanza di uno strumento neutrale di comprensione tra popoli di lingua diversa; hanno grande stima del latino, lingua di altissima cultura e non hanno mai preteso che l'esperanto tenda a sostituire le lingue nazionali, semmai che le salvaguardi... Ma ecco il testo del libro che ci riguarda alle pagine 14-15-16-17 al punto tre rubrica "Motivi di confusione" e "Messa nuova e Messa Vecchia". "Riprendo dunque il discorso dopo molti anni in situazione pressoché immutata, forse peggiorata, come, a mio avviso, dimostrerebbero il disagio e l'imbarazzoche accompagna certi "dibattiti " troppo simili a finte battaglie, su argomenti più o meno dicontorno alla questione. E vorrei il più possibile tenermi nel solco d'un puro esame del testo della nuova messa, con speciale riguardo alle parti fisse, cioè al cosiddetto Ordinario, ricorrendo, come farò spesso per comodità, al termine generico di riforma per indicare quest'aspetto particolare di un'impresa vastissima, che abbraccia, anche nella messa stessa, tanti altri elementi oltre la lingua (e poi i vari sacramenti, la liturgia delle ore, le benedizioni, ecc). Vorrei anche fare un discorso che rasentasse, per semplicità, il terra terra, con più cose che parole, più arrosto che fumo (se l'immagine mi è consentita): da opporre rudemente a quel cercar sera di cui dicevo sopra... Ma mi rendo conto che l'importanza e la delicatezza del tema suggeriscono uno sguardo anche ai margini della pura analisi linguistica. Ecco, per esempio, che mi trovo davanti il meslibro. Che cos'è? Ilmessale romano in esperanto: Roma Meslibro, pubblicato ufficialmente nel novembre 1995 ma già presentato nel 1994 dall'arcivescovo di Praga card. Miloslav Vlk durante l'ultimo congresso dell'IKUE (Unione Internazionale Cattolica Esperantista), di cui fa parte l'UECI (Unione Esperantista Cattolica Italiana). Ha incontrato difficoltà dentro e fuori; dentro, annota la stampa cattolica, vuol dire «in ambiente ecclesiale ed ecclesiastico» (doppia sottile aggettivazione, di cui diremo). Ma son prevalsi i favori, sgombrando il campo a messe celebrate qua e là in quella specie di lingua, mentre dal canto suo la Radio Vaticana le dedica da tempo un programma bisettimanale. E già nella Pasqua del 1994 ilPapa aveva aggiunto l'esperanto alle altre lingue per la sua benedizione Urbi et Orbi; e a Natale aveva ripetuto «l'esperimentoaggiungendo la più nota "lingua universale" ai 53 idiomi prescelti per il suo augurio: terzultima della serie, prima soltanto del patrio polacco e dello "storico " latino» (R. Beretta, "Avvenire", 3 gennaio 1995, p. 19). Povero latino e povera storia. Così anche questa novità dell'esperanto in chiesa viene a infilarsi nel pelago della nostra già tormentata riforma. Santo Padre, per carità non gli dia altro spago. Lo fermi! Non porti anche Lei i cento argomenti degli adepti di quella setta con le sue sigle e il suo medagliere di porporati e nomi illustri. Questo è l'argomento vero, che varrebbe anche se fosse il solo: «Una lingua strettamente universale, qualunque ella mai si fosse, dovrebbe certamente essere di necessità, e per sua natura, la più schiava, povera, timida, monotona, uniforme, arida e brutta lingua, la più incapace di qualsivoglia genere di bellezza, la più impropria all'immaginazione, e la meno da lei dipendente, anzi la più da lei per ogni verso disgiunta, la più esangue ed inanimata e morta, che mai si possa concepire; uno scheletro, un'ombra di lingua piuttosto che lingua veramente; una lingua non viva, quando pur fosse da tutti scritta e universalmente intesa» (Giacomo Leopardi, "Zibaldone", 23 agosto 1823, cari. 3253). C'è bisogno d'altro che di utopie! E quella è tale nel senso più deleterio del termine: u topos, "non luogo", nessun angolo di mente sana" può accoglierla. È come pensare che al posto degli uomini possano starci i robot. E l'esperanto è proprio una lingua-robot. Che duri da cent'anni e oltre mi dice poco; mentre mi dicono e m'allarmano i commenti della stampa cattolica: «Sarà una lingua artificiale la "koinè" ecclesiastica del Duemila? », «Esperanto, il nuovo latino», «II messale per le liturgie festive. Un altro passo verso la conquista del posto di lingua internazionale ausiliaria ufficiale alla pari col sempre più desueto latino»... Quanto al fatto che il latino sia «sempre più desueto», non ci son dubbi. Ma è vero anche che il latino ha un'anima (e che anima!), mentre l'esperanto non ce l'ha e non può avercela; e non avendola, non potrà mai parlare né all'anima né a Dio. Tuttavia la lingua latina, «pur raccomandata espressamente dal Vaticano II, è scomparsa in fretta dalla liturgia eucaristica. Così agli abusi, alle fughe in avanti, si sono contrapposte le resistenzele nostalgiefino allo scisma di monsignor Lefebvre» (Svidercoschi, art. cit.); senza considerare che ciò ha anche voluto dire uno altro colpo, in seno alla Chiesa e fuori, al già anemico e traballante studio della lingua dei padri e al suo permeare ogni cantuccio della nostra cultura (brutta coincidenza, ahimè, che un secolo fa o anche meno non si sarebbe presentata). A questo proposito, nel numero di "Belfagor" del settembre 1965 (p. 594), Dino Pieraccioni faceva notare i «non pochi latinismi dì origine liturgica entrati fin qui nella lingua comune, data la familiarità popolare con il culto, ma destinati a scomparire a poco a poco dopo l'introduzione dell'italiano nella liturgia». E osservava ancora: «Locuzioni del tipo "ridotto come un ecce Homo ", dal vangelo della passione, "venire al redde rationem ", dalla parabola del fattore infedele, "pareva un sanctifecetur " presuppongono tutte un contatto vivo con la liturgia latina che ormai va sempre più scomparendo». Così si vanno perdendo - con l'allontanarsi del latino dai nostri usi tante altre espressioni, derivate o no dalla Bibbia ".
Solitamente si pensa al Carnevale come a un momento di divertimento, di dissipazione e di svago. Perché non concedersi un guizzo di allegria prima della lunga e austera penitenza quaresimale? Lo diceva già ai suoi tempi, con sorriso sornione e con facezia e arguzia, Lorenzo de' Medici nei "Canti Carnascialeschi". "Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto sia: di doman non c'è certezza". Ma il carnevale ha tutta un'altra funzione; è fantasia, creatività, ironia; e rovesciare la vita per osservarne i risvolti partendo da altre prospettive. In tale luce esso assume una valenza educativa ed essere letto in chiave cristiana. Si spiega così il motivo per cui S. Ambrogio abbia prolungato il Carnevale ambrosiano di tre giorni rispetto a quello romano. Che cosa cambierebbe, se guardassimo il mondo invertendo i paralleli e i meridiani? E se facessimo sedere il re su un misero sgabello di paglia e da lì gli facessimo governare il paese? E se invertissimo il rapporto adulti - bambini, nascessimo grandi e diventassimo via via piccini? Giocoforza i frutti devono maturare sui rami dell'albero? E se li mettessimo al posto delle radici? E se ponessimo le fondamenta delle case in su e i tetti in giù, come si capovolge un aereo supersonico, dovremmo stare con le gambe per aria, quando ci sediamo al tavolo di cucina? La verità è che non siamo più abituati a ironizzare e che ci risulta difficile l'autoironia; e invece solo così riusciremmo a prendere in seria considerazione i limiti personali, a trovare spazio per la libertà di spirito, a dare il giusto orientamento alla nostra personalità. Come mai la luna è così timida da non mostrare mai l'altra faccia? Che cosa vi nasconde? L'ironia mi permette di cogliere il fruscio della linfa che scorre nelle tremule foglie dei pioppi, di trasformare gli alberi in esseri umani e di vedere come essi si muovono nella misteriosa penombra del bosco, di ascoltare i commenti che gli usignoli si scambiano nei nostri confronti. Gesù si è meravigliosamente destreggiato con l'arte dell'ironia. A nessuno era mai venuto in mente di sfamare con pane e pesci una folla di cinquemila uomini in un deserto. Anzi, per far capire agli apostoli la novità del suo agire, nel Vangelo di Marco Gesù manda addirittura gli apostoli a controllare quanti pani avevano, quasi disponessero di chissà quali vettovaglie. Il Vangelo tratteggia la figura di Pietro con sottile umorismo. Cammina sulle acque, e sul punto più bello, dopo di aver percorso parecchi metri, si spaventa delle raffiche di vento; e per il vento, non per le onde, affonda nel lago. Perché la Passione è un racconto tragico; però, il povero Pilato esercita il potere, ma chi compie il ruolo del giudice è Gesù. Nella stupenda visione idilliaca del profeta Isaia "il vitello e il leoncello pascoleranno insieme; il leone si ciberà di paglia, come il bue". Ci vuole una fervida fantasia per immaginare un leoncello al pascolo o sdraiato oziosamente nella stalla di una fattoria. Il profeta si è semplicemente permesso di modificare le regole del gioco culinario. L'ascetica cristiana porta a conquistare abitudini diverse rispetto al comportamento usuale. Maria, l'egiziaca, vive per più di quarant'anni nel deserto con tre tozzi di pane e tre monetine che un vecchio, a cui aveva chiesto in quale direzione si trovasse il deserto, le aveva messo in mano. Chissà come erano diventati quei frammenti di pane dopo quarant'anni. E da noi, per digerire certi cibi, non occorrono dei denti ben più robusti? A noi manca la bontà di un S. Nilo, i cui occhi dolci avevano ammansito persino l'orso della foresta, che impietosito della povertà di quel monaco si era sentito in dovere di portargli tutte le mattine del cibo, in modo da non distoglierlo dalla contemplazione interiore. Se avessimo più armonia tra le diverse sfere che compongono il nostro Io, saremmo meno pretenziosi, più frugali, più temperanti, meno intolleranti. I vecchi proverbi ci fanno capire che per il popolo il carnevale rappresenta una dimensione perenne della civiltà. Ogni giorno ci scontriamo con gli aspetti buffi della vita e ci innervosiamo a morte per le sciocchezze e le stupidaggini. Per costituzione una gazzella è destinata a correre velocemente e a sfidare le folate del vento; ma come fare a supporre che, con la sua mastodontica mole, con la sua enorme proboscide, un elefante riesca a muoversi così rapidamente? Quante cose noi pensiamo, che non sono vere; quante attese o pretese inutili noi ci facciamo. Ha avuto un bel fegato quella balena per ingoiare un profeta Giona. Abituato a starsene tranquillo nella stiva delle navi, si era addormentato nel ventre del cetaceo. Vi aveva trovato la temperatura ideale, una sufficiente calma; non aveva libri da leggere e quindi non aveva bisogno della luce della candela. E dopo tre giorni il suo viaggio finisce; viene di nuovo scaraventato nel vortice della vita di Ninive, la città dalla quale voleva fuggire; e deve riprendere il suo assillante e angosciante lavoro. Avrebbe voluto essere al posto di quella pianta di ricino, per evitare di porsi dei problemi, per starsene in pace, indifferente a quanto sarebbe successo. Ha ragione Michael Ende. Se un re possedesse una zuppiera magica e il sovrano confinante un mestolo altrettanto magico, due ragazzini unirebbero immediatamente i due regni. Invece gli adulti no; ne fanno una questione di stato e così le cose semplici si ingarbugliano, si arruffano e si complicano. Volevo soltanto giocare sul Carnevale e mi accorgo di aver varcato invece le colonne d'Ercole della serietà. Ma forse è proprio questo il modo migliore per ritrovare se stessi, per verificare le proprie aspirazioni e il proprio progetto di vita, per comprendere le capacità di cui siamo dotati e che magari lasciamo sonnecchiare in qualche angolo riposto del nostro spirito, per fare un bilancio dei talenti che Dio ci ha affidato e che abbiamo chiuso a chiave nell'armadio sconquassato della soffitta. Zamenhof ha giocherellato con la radice dei nomi; ha messo insieme le radici simili; e ti ha tirato fuori, guarda un po'!!!, una nuova lingua. Se nelle nostre pubbliche relazioni giocherellassimo nello stesso modo, se ci costringessimo a parlare la lingua degli altri e non la lingua madre lingua, piena di preconcetti, di segnaletica precostituita e di illogici ragionamenti logici, se incominciassimo a porci dei dubbi circa il significato dei termini a cui sovente ricorriamo e dovessimo almeno di tanto in tanto sfogliare il vocabolario, forse sul nostro carro allegorico si instaurerebbe una più spensierata cordialità e umanità. Le parole per noi nascondono dei segreti; sono come il portafoglio che conserviamo gelosamente lontano dagli altrui sguardi indiscreti. È la stessa storia dell'elemosina; mettiamo nelle mani del povero solo qualche spicciolo per non costringerlo (in fondo, non è un atto di carità?) a darci il resto. Tolstoj si è convertito vedendo l'amico consegnare al povero cinque copechi. Gliene chiese due di resto; il povero si trovò imbarazzato ed egli glieli lasciò tutti e cinque. Quanti copechi dovrei dare al povero, si domandò Tolstoj, io che ne ho ha disposizione seicento al mese? L'esperanto è un trasmettere giocosamente la verità; è una manciata di coriandoli; è un moto atipico di fare il Carnevale. Terminata la sfilata, ai passanti rimane l'interrogativo, che li graffia nel profondo dell'animo. Ma perché quella gente porta quelle strane maschere, interloquisce con quello strano linguaggio, instaurando tanta cordialità e coralità? Eppure non erano dei marziani atterrati, per caso, sul nostro pianeta!
Mons. Giovanni Balconi
Cari lettori, in questo primo numero di K.S. del nuovo anno voglio richiamare la vostra attenzione al n° 2/98 del nostro periodico dal titolo "In spirito di servizio" nel quale rivolgevo un invito ad "essere aperti al dialogo ecumenico", "a pregare incessantemente per l'unità dei cristiani" non solo nella settimana annuale dedicata a questo scopo ma anche nel corso dell'anno come è buona abitudine di qualche gruppo della nostra associazione. A titolo di cultura religiosa vi propongo di leggere il documento papale "Ut unum sint" e qui sotto la storia della preghiera per l'unità dei cristiani e la bella preghiera concepita da uno dei padri dell'ecumenismo spirituale l'abate Paul Couturier. La personalità di questo sacerdote francese è stata ricordata da me in occasione del 13° Congresso Ecumenico Esperantista a Nantes (Rezé) e la riflessione è stata pubblicata sul numero di novembre 1998 di "Dia Regno" organo mensile ufficiale del "K.E.L.I." = Kristiana Esperantista Ligo Internacia. Per la prima volta il titolo del testo biblico proposto per la Preghiera 1999 ci è giunto dall'Asia, precisamente dalla Malesia da parte del gruppo internazionale del Consiglio delle Chiese. È tratto dall'Apocalisse 21, 1-7 e suona così: "Egli dimorerà con loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro". Il testo dei sette versetti biblici invita i cristiani a guardare l'avvenire con speranza. Esso sarà utile ai cattolici che concentrano la loro riflessione su Dio Padre nel corso dell'ultimo anno di preparazione al Giubileo dell'Anno Duemila. Lo Spirito susciti in tutti noi tanta "sete di unità da provare il bisogno di continuare la ricerca e di fare passi concreti verso la piena unità visibile delle Chiese". Infine rivolgo un invito agli esperantisti cattolici a partecipare numerosi, dal 7 al 14 agosto del corrente anno, al 14° Congresso Ecumenico che si celebrerà a Gliwice (Polonia). Il tema è "... che tutti siano una cosa sola...". Sarà l'occasione per esprimere la nostra gratitudine a Dio per tutto quello che abbiamo ricevuto da lui e per tutto quello che è stato compiuto dal movimento ecumenico, in particolare nel corso di questo secolo.
1740 circa - Scozia: in Scozia nasce un movimento pentecostale con vincoli nell'America del Nord: nel suo messaggio per il rinnovamento della fede invita a pregare per tutte le Chiese e con esse. 1820 - James Haldane Stewart: il reverendo James Haldane Stewart pubblica: "Consigli per l'unione generale dei cristiani in vista di un 'effusione dello Spirito". 1840 - Ignatius Spencer: il reverendo Ignatius Spencer, un convertito al cattolicesimo romano, suggerisce una "Unione di preghiera per l'Unità dei cristiani". 1867 - Lambeth: la prima assemblea dei vescovi anglicani a Lambeth insiste sulla preghiera per l'unità nell'introduzione alle sue risoluzioni. 1894 - Leone XIII: il Papa Leone XIII incoraggia la pratica dell'Ottavario della Preghiera per l'Unità dei cristiani nel contesto della Pentecoste. 1908 - Paul Wattson: celebrazione dell'“Ottavario per l'Unità della Chiesa” su iniziativa del reverendo Paul Wattson. 1926 - "Fede e Costituzione": il movimento "Fede e Costituzione" incomincia la pubblicazione di "Suggerimenti per un Ottavario di Preghiera per l'Unità dei Cristiani". 1935 - Paul Counturier: in Francia l'abbé Paul Couturier si fa avvocato della Settimana Universale di Preghiera per l'Unità dei Cristiani sulla base d'una preghiera concepita per 1'“unità che Cristo vuole, con i mezzi che vuole”. 1958 - "Unità Cristiana": il centro "Unità Cristiana" di Lione, Francia, incomincia a preparare il tema per la "Settimana di Preghiera" in collaborazione con la commissione "Fede e Costituzione" del Consiglio Ecumenico delle Chiese. 1964 - II Concilio: il Decreto sull'Ecumenismo del Concilio Vaticano II sottolinea che la preghiera è l'anima del movimento ecumenico e incoraggia la pratica della Settimana di Preghiera. 1966 - "Fede e Costituzione" e Segretariato per l'Unità dei Cristiani: la commissione "Fede e Costituzione" e il Segretariato per l'Unità dei Cristiani (ora Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei cristiani) decidono di preparare insieme il testo per la Settimana di Preghiera d'ogni anno. 1968 - La prima volta: per la prima volta la Preghiera è celebrata sulla base dei testi elaborati in collaborazione tra "Fede e Costituzione" e Segretariato per l'Unità dei Cristiani. 1994 - Il gruppo internazionale che prepara la "Preghiera per l'Unità" è allargato alla partecipazione di due organismi ecumenici laici: l'Alleanza Universale delle Unioni Cristiane dei Giovani (YMCA) e l'Alleanza Universale delle Unioni Cristiane delle Giovani (YWCA).
Preĝo por la unuigo de la kristanoj
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Sinjoro Jesuo, kiu je la antaŭtago de via morto por ni preĝis por ke ĉiuj viaj disĉiploj estu en perfekta unueco, samkiel Vi estas kun la Patro kaj la Patro kun Vi, igu nin dolorige konsciaj pri niaj malkonkordoj. |
Signore Gesù, che alla vigilia di morire per noi hai pregato perché tutti i tuoi discepoli siano perfettamente uniti, come tu lo sei col Padre e il Padre con te, rendici dolorosamente consapevoli delle nostre divisioni. |
Donu al ni la lojalan kapablon agnoski nian staton kaj la kuraĝon liberiĝi de indiferenteco, de malfidemo kaj de malamikeco. |
Donaci la lealtà di riconoscere il nostro stato e il coraggio di liberarci dall'indifferenza, dalla diffidenza e dall'ostilità. |
Permesu, ke ni ĉiuj renkontiĝu en Vi por ke niaj animoj kaj niaj lipoj preĝu senĉese por la unuigo de la kristanoj laŭ Via volo kaj laŭ Via deziro, tia, kia ĝin Vi volas kaj kiel ĝin Vi volas. |
Accordaci di incontrarci tutti in te cosicché le nostre anime e le nostre labbra preghino incessantemente per l'unità dei cristiani quale tu la vuoi e come tu la vuoi. |
En Vi, kiu estas la perfekta Amo, helpu al ni trovi la vojon, kiu kondukas al la unueco obeante Vian Amon kaj Vian Veron. Amen. |
In te, che sei il perfetto amore, aiutaci a trovare la via che conduce all'unità, obbedendo al tuo Amore e alla tua Verità. Così sia. |
EDITH STEIN figlia di Israele |
Attenzione: Primo incontro culturale-religioso a VICENZA 20/21 marzo 1999 Organizzato dal Centro Esperantista Cattolico di Milano in collaborazione con esperantisti di Vicenza. Sede: Casa Sacro Cuore, Corso Padova, 122 - VICENZA (autobus n° 1 da staz. F.S.) |
“VIVO DE LA
GRUPOJ”
Fidenza Esperanta Grupo "Remo Fioretti". Il nostro associato Prof. Renzo Sommi informa. L'esperanto appare nella città di Fidenza nel 1913 con il consenso e la collaborazione del Vescovo, successivamente penetra a Piacenza, Fiorenzuola e Busseto per merito di Padre Modesto Carolfi, frate francescano dell'ofm. Nel 1957 è tenuto un corso di esperanto nelle scuole medie "A. Zani". Nel 1961 l'Amministrazione Comunale intitola "Via Esperanto". Nel 1988 convegno a Fidenza di oltre 50 esperantisti, donazione di materiale alla Biblioteca Comunale. Nel 1991 grande raduno a Fontanellato. Fidenza è gemellata con la cittadina di Herrenberg (Germania), il dialogo tra esperantisti si fa sempre più vivace. Nel 1993 è stata allestita una mostra d'esperanto durata più di un mese. Il Prof. Renzo Sommi, delegato dell'U.E.A. dal 1961, ha tenuto corsi di esperanto nella scuola superiore per geometri e ragionieri "Luca Paciolo", e dal 1992 insegna anche all'UNITRE = Università della terza età. Dal 1970 al 1998 il gruppo di Fidenza ha partecipato a più di nove congressi universali, inoltre fa parte del "CERER" Coordinamento Esperantista Emilia-Romagna, ha una fitta corrispondenza in particolare con esperantisti del Giappone, Cina, Corea e Brasile; infine, esempio da seguire, da quest'anno è stato regalato al Vescovo di Fidenza Mons. M. Galli il messale in esperanto, il libro "L'Esperanto in Emilia-Romagna e, importante, l'abbonamento a "Katolika Sento". Un sentito grazie e congratulazioni da parte del Comitato Centrale dell'UECI per l'infaticabile attività anche nel campo cattolico. |
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NI FUNEBRAS KAJ
KONDOLENCAS
Da notizia degli eredi del 9.1.99, il 21 novembre
1998, all'età di 84 anni, è deceduto il
nostro socio Lieto CASADIO di Forlì.
Ricordiamolo al Signore, ricco di misericordia.
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NORME ASSOCIATIVE E QUOTE INVARIATE PER IL 1999L'Unione Esperantista Cattolica Italiana (UECI) è sezione della Internacia Katolika Unuiĝo Esperantista (IKUE), pertanto ogni associato dell'UECI è contemporaneamente socio dell'IKUE.LE QUOTE PER L'ANNO 1999:
N.B. II periodico Katolika Sento viene inviato a tutti gli associati, tranne che ai familiari.
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Benedetto sii tu, Signore, Padre che sei nei cieli, perché nella tua infinita misericordia ti sei chinato sulla miseria dell'uomo e ci hai donato Gesù, tuo Figlio, nato da donna, nostro salvatore e amico, fratello e redentore. Grazie, Padre buono, per il dono dell'Anno giubilare; fa' che esso sia tempo favorevole, anno del grande ritorno alla casa paterna, dove tu, pieno di amore, attendi i figli smarriti per dar loro l'abbraccio del perdono e accoglierli alla tua mensa, rivestili dell'abito di festa. |
Estu benata Vi, Sinjoro, Patro, kiu estas en la ĉielo, ĉar en via senfina mizerikordo Vi kliniĝis super la mizero de la homo kaj donis al ni Jesuon, vian Filon, naskitan de virino, nian savanton kaj amikon, fraton kaj elaĉetanton. Dankon, bona Patro, pro la donaco de la jubilea jaro; igu, ke ĝi estu tempo favora, jaro de la granda reveno al la patra domo, kie Vi, plena de amo, atendas la perdiĝintajn gefilojn por doni al ili la ĉirkaŭbrakon de la pardono kaj por akcepti ilin ĉe via bankedo, vestitaj por la festo-vestaĵo. |
A te, Padre, la nostra lode perenne! | Al vi, Patro, estu nia eterna laŭdo! |
Padre clementissimo, nell'Anno Santo fiorisca
vigoroso l'amore verso di te e verso il prossimo: i discepoli di Cristo promuovano la giustizia e la pace: ai poveri venga annunciata la Buona Novella e ai piccoli e agli emarginati la Madre Chiesa rivolga il suo amore di predilezione. Padre giusto, il grande Giubileo sia occasione propizia perché tutti i cattolici riscoprano la gioia di vivere nell'ascolto della tua parola e nell'abbandono alla tua volontà; sperimentino il valore della comunione fraterna, spezzando insieme il pane e lodando te con inni e cantici spirituali. |
Tre indulga, Patro, dum la jubileo pli kaj pli
floru la amo al Vi kaj al la proksimulo: la disĉiploj de Kristo akcelu justecon kaj pacon; al malriĉuloj estu anoncita la Bonsciigo kaj al etuloj kaj marĝenigitoj la Patrino Eklezio adresu sian preferan amon. Justa Patro, la granda jubileo estu la taŭga okazo por ke ĉiuj katolikoj remalkovru la ĝojon vivi en la aŭskulto de via parolo kaj en mem-forlaso al via volo; ke ili spertu la valoron de la frata kunuleco, kune pecigante la panon kaj laŭdante Vin per himnoj kaj kantikoj inspiritaj de la Spirito. |
A te, Padre, la nostra lode perenne! | Al vi, Patro, estu nia eterna laŭdo! |
Padre, ricco dì misericordia, il santo Giubileo sia tempo dì apertura, di dialogo e di incontro con tutti i credenti in Cristo e con tutti i seguaci delle altre religioni; nel tuo immenso amore sii largo di misericordia con tutti. Dio, Padre onnipotente, fa' che tutti i tuoi figli sperimentino che nel cammino verso di te, ultimo approdo dell'uomo, li accompagna benigna Maria Santissima, icona dell'amore puro, da te prescelta per essere Madre di Cristo e della Chiesa. |
Patro, riĉa je mizerikordo, la sankta Jubileo estu tempo de malfermiteco, de dialogo kaj renkontiĝo kun ĉiuj kredantoj je Kristo kaj kun la sekvantoj de aliaj religioj; en via senfina amo, estu abunde mizerikorda kun ĉiuj. Dio, ĉiopova Patro, igu, ke ĉiuj viaj gefiloj spertu, ke dum la irado al Vi, lasta celatingo de la homo, akompanas kun kun boneco Maria Sanktega, ikono de la pura amo, de Vi elektita por esti Patrino de Kristo kaj de la Eklezio. |
A te, Padre, la nostra lode perenne! | Al vi, Patro, estu nia eterna laŭdo! |
A te, Padre della vita, principio senza
principio, somma bontà ed eterna luce, con il Figlio e con lo Spirito, onore e gloria, lode e riconoscenza, nei secoli senza fine. Amen. |
Al Vi Patro de la vivo, komenco sen komenco, supera boneco kaj eterna lumo, kun la Filo kaj kun la Spirito, estu honoro kaj gloro, laŭdo kaj dankemo, dum la jarcentoj kaj jarcentoj. Amen |
L'AQUILA: CONGRESSO DELL'UNIONE ESPERANTISTA CATTOLICA ITALIANA |
IL VOLTO DEL
PADRE Programma Provvisorio |
Pomeriggio: | Arrivo dei congressisti e sistemazione alloggio |
Sera: | reciproca conoscenza |
ore 10.30 |
Inaugurazione congresso: Prima relazione: "La Perdonanza" tenuta da Padre Quirino Salomone. |
Pomeriggio: | ore 15-18 visita al Castello Museo Nazionale |
ore 10.30 |
Seconda relazione: "IIvolto del Padre" (Relatore: Mons. Giovanni Balconi o altro sacerdote) |
Pomeriggio: | ore 15-18 Assemblea annuale dell'UECI |
ore 20.30 | Serata musicale o recita teatrale da parte di giovani |
ore 8.45 –12.00 | Visita alla città |
ore 15-18 | Visita alla città. Messa concelebrata per l'unità dei cristiani al Santuario di San Bernardino. |
Ore 20.30-21.30 |
Serata musicale, tombola a premi o sorprese??? Si vedrà... |
dalle 8.45 alle ore 12.00 | Pellegrinaggio al santuario di S. Maria di Collemaggio definito anche "il Santuario della Riconciliazione" con visita del Centro Celestiniano e concelebrazione della messa in onore del nome di Maria. (Omelia su "II volto del Padre " da parte dell'Ass. Eccl.Dell'IKUE Don D. Magnani). |
Ore 12.00 |
Rientro all'Istituto Salesiano. pranzo e chiusura del 13° Congresso. |
In camera | entro il 31 marzo | entro il 30 giugno | dal 1°luglio in poi |
□ singola | 260.000 | 280.000 | 310.000 |
□ doppia | 220.000 | 240.000 | 270.000 |
SCHEDA DI ADESIONE E PRENOTAZIONE 13° CONGRESSO DELL'UNIONE ESPERANTISTA CATTOLICA ITALIANA L'AQUILA 3 - 7 SETTEMBRE 1999
NOMO____________________
ANTAUNOMO_ STRATO____ POŜTA KODO_______URBO____________ LANDO______TELEFONO________ NASKIĜDATO (por junuloj ĝis 25 jaroj)_________ □ Ho versato la quota di iscrizione £. 35.000 (£. 25.000 per i giovani fino ai 25 anni) □ L'acconto per sistemazione alloggio (£. 30.000) □ Ho versato un contributo per il congresso di £..... Desidero alloggiare □ In camera doppia con_____________________ □ In camera singola In data______ Ho versato la somma di £.________ sul C.C.P. n° 11129475,intestato: UECI, viale C. Zavagli 73, 47900 RIMINI DATA__________ FIRMA___________ N.B.: Inviare la scheda di adesione a: Segreteria UECI via Eritrea 8, 31100 TREVISO |
COMITATO CENTRALE UECI
Presidente: Serio BOSCHIN, via Eritrea 8, 31100 Treviso, tel.-fax 0422-235381 Segreteria e cassa: via Eritrea 8, 31100 Treviso, tel.-fax 0422-235381 Vice presidente e incaricata giovanile: Paola AMBROSETTO, via Emo, 9/C, 30173 Mestre (VE), tel. 041-5341532 - fax 041-612516 Consiglieri: don Duilio MAGNANI (segretario per l'informazione), viale C. Zavagli 73, 47900 Rimini, tel.-fax 0541-26447; Antonio CAPPELLO, via A. Colombo 6, 13100 Vercelli, tei. 0161-392707 - fax (di sera) 0161-257262; Giovanni CONTI, via F. Filzi 51, 20032 Cormano (MI), tel. 02-66301958 - fax 02-66302110; don Mario GERMAN, via Canepa 57 - frazione Canepa, 16030 Sori (GE), tel. 0185-709010 (internet: marger@split.it); Marsilio GUAZZUMI, via Coletti, 108 -47900 Rimini - tel. 0541-22993; Carlo SARANDREA, via di Porta Fabbrica 15, 00165 Roma, tel. 06-631805-fax 06-632839 Assistente Ecclesiastico: mons. Giovanni BALCONI, p.zza Duomo, 16, 20122 Milano, tel. 02-878014,02-8556274 Grafica e impaginazione di Katolika Sento: Mario GUILLA, via Benadir 62,13100 Vercelli, tel. 0161-259397 |