Enhavo:
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Annuntio vobis gaudium
magnum; Habemus
Papam: Eminentissimum
ac Reverendissimum Dominum,
Dominum Josephum
Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Ratzinger
qui sibi nomen imposuit Benedictum XVI
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Roma, ore 17.50 del 19 aprile
2005:
Fumata bianca.
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Romo, horo 17.50 de la 19.a de Aprilo
2005:
Blanka fumado.
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Alle 18.43 il cardinale protodiacono
Medina Estevez annucia con la rituale formula latina
l'elezione del nuovo pontefice Benedetto XVI, dopo
qualche minuto il santo padre stesso si presenta
sulla loggia della Basilica per la sua prima
benedizione "Urbi et Orbi" introdotta da un breve
mesaggio:
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Je la 18.43 la protodiakona kardinalo
Medina Estevez anoncas, per la rita latina formo, la
elekton de la nova pontifiko Benedikto la 16.a,
kelkajn minutojn poste la Sankta Patro mem,
prezentiĝas ĉe la balkono de la Baziliko
por sia unua beno "Urbi et Orbi" enkondukita de
mallonga mesaĝo:
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"Cari fratelli e sorelle, dopo il
grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali
hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella
vigna del Signore.Mi consola il fatto che il Signore
sa lavorare ed agire anche con strumenti
insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre
preghiere.Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi
nel suo aiuto permanente, andiamo avanti. Il Signore
ci aiuterà e Maria sua Santissima Madre
starà dalla nostra parte. Grazie."
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"Karaj gefratoj, post la granda Papo Johano Paŭlo
la 2a, la sinjoroj kardinaloj elektis min,
simplan kaj humilan laboriston en la vinberejo de la
Sinjoro. Min konsolas la fakto, ke la Sinjoro
kapablas labori kaj agi ankaŭ per ne
sufiĉaj rimedoj kaj precipe mi min konfidas al
viaj preĝoj. En la ĝojo de la Sinjoro
Resurektinta, konfidante je lia daŭra helpo, ni
antaŭeniras. La Sinjoro helpos nin, Maria lia
Santega Patrino staros je nia flanko. Dankon."
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È morto il Papa! Viva il Papa!
Con viva partecipazione ed apprensione
abbiamo seguito gli ultimi giorni di vita di Giovanni Paolo
II. Abbiamo pregato per lui perchè potesse stare
ancora un poco con noi, la sua morte ci ha rattristato,
quasi fosse morto uno dei nostri cari. Lo abbiamo tanto
ammirato, nel vigore dei suoi anni, per la sua forza
indomita, la sua eloquente sapienza e per il suo coraggio,
lo abbiamo amato quando lo abbiamo visto sofferente sotto
il peso della malattia e della vecchiaia. Ci consola il
saperlo ora presso la casa del Padre. Lo abbiamo visto
l'ultima volta a Pasqua. Sapevamo che non avrebbe potuto
rivolgere i soliti auguri nelle varie lingue, ma ci siamo
recati ugualmente in piazza San Pietro, questa volta con i
nostri pannelli rivolti verso la sua finestra. È
stato toccante quando è apparso lassù davanti
a noi, ha tentato di parlare poi ha desistito e si è
limitato ad impartire con il gesto della mano la sua ultima
benedizione Urbi et Orbi. Ci ha sicuramente visti,
non poteva non vederci! ci siamo commossi perchè
capivamo che quella sarebbe stata l'ultima volta: avrebbe
portato con sè nell'aldilà, impressa nei suoi
occhi, quella nostra scritta ESPERANTO, abbiamo pensato per
un momento che quella benedizione fosse rivolta proprio
solo a noi. Grazie santo Padre, ricordati di noi ora che
sei lassù. Hai fatto molto per la nostra lingua
vogliamo meritare questa tua predilezione e continuare nel
nostro impegno.
Ora abbiamo un nuovo papa. Dopo la tristezza la gioia.
Aveva meritato la nostra simpatia già da prima, con
quella sua omelia ai funerali di Giovanni Paolo II,
così intensa di dottrina e di poesia. I suoi primi
gesti da papa, le sue prime parole, hanno allontanato
qualche preconcetto (se c'era), ci siamo accorti di
trovarci di fronte ad una figura straordinaria che ci fa
bene sperare per il futuro della Chiesa. Più delle
nostre parole parla il testo, riportato più sotto,
della sua omelia per la S.Messa inaugurale del suo
pontificato.
Da più parti ci si è chiesti, quali siano i
suoi rapporti con l'esperanto, se non dovremo per caso
rimpiangere il papa che l'ha preceduto. Qualche
testimonianza ce lo dice non contrario, la prima
controprova l'avremo alla benedizione Urbi et Orbi
di Natale. Si sa della sua predilezione per il latino, ma
questo non esclude l'esperanto. Il latino è la
lingua ufficiale della chiesa, è depositario di un
patrimonio a cui non è possibile rinunciare
nè ora nè in futuro; la chiesa ufficiale
continuerà a parlare in latino. Ma per la pastorale
questa lingua non funziona più, rimodernarla
significherebbe stravolgerla e, anche se ci si riuscisse,
sarebbe troppo "romana" quindi poco ecumenica. La chiesa ha
necessità di una lingua internazionale, ma sarebbe
un po' stravagante se venisse scelta ora una lingua come
l'esperanto, che pur avendo tutti gli attributi di
idoneità è pur sempre meno conosciuta del
latino. Ringraziamo la Chiesa per non aver scelto
l'inglese. Tocca a noi coltivare questa lingua,
diffonderla, renderla viva, offrirla alla Chiesa pronta
all'uso perchè universalmente parlata. Una decisione
in tal senso presa dall'alto, in un tempo non ancora
maturo, non sarebbe utile nè alla Chiesa nè
all'esperanto che rischierebbe di diventare una lingua
confessionale. Questo papa è troppo intelligente per
non capire queste cose e probabilmente si aspetta qualcosa
da noi. Si può scorgere qualcosa di promettente
nello stemma che si è scelto: la conchiglia, simbolo
del pellegrino sulle vie del mondo e la testa di moro con
l'orso di S.Corbiniano che sono un riferimento alla sua
terra d'origine; così come l'esperanto ci apre le
vie del mondo nel rispetto della lingua e delle tradizioni
della nostra terra d'origine.
Giovanni Daminelli

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Lo stemma di Benedetto XVI
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La blazono de Benedikto la 16.a
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Lo stemma scelto da Benedetto XVI
è costituito da uno scudo, sovrapposto a due
chiavi incrociate, sormontato dalla mitra vescovile e
con il pallio papale sottostante.
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La blazono de Benedikto la 16.a,
konsistas el unu ŝildo, surmetita sur du
krucigitaj ŝlosiloj, havanta supre episkopan
mitron kaj sube papan paliumon.
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Lo scudo, del tipo a calice, è
rosso cappato di oro. Nel campo centrale, rosso,
c'è una grande conchiglia d'oro, nel cantone
destro della cappa (a sinistra per chi guarda)
c'è una testa di moro coronata e nel cantone
sinistro un orso bruno con un fardello sul
dorso.
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La ŝildo, el kalika tipo, estas
ruĝa kun blazonmantelo el oro. En la centra
kampo, ruĝa, estas granda ora konko, en la
destra blazonmantela angulo (maldestre por la
rigardanto) estas kronita kapo de maŭro kaj en
la maldestra angulo estas urso surdorse
ŝarĝita.
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La conchiglia ha tre significati:
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La konko havas tri
signifojn:
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1) Ricorda la leggenda di S.Agostino,
che in riva al mare incontra un bambino, che, con una
conchiglia, vuol mettere tutta l'acqua del mare in
una buca scavata nella sabbia. Indica
l'infinità di Dio di fronte alla limitatezza
della mente umana.
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1) Ĝi memorigas la legendon pri
S.kta Aŭgusteno, kiu, ĉe marbordo renkontas
knabon, kiu per konko volas transverŝi la tutan
akvon de la maro en kavon fositan en la sablo.
Ĝi simbolas la senlimecon de Dio kompare kun la
homa limeco.
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2) È simbolo del pellegrino e
vuol indicare che il papa vuol seguire le orme di
Giovanni Paolo II, pellegrino in ogni parte del
mondo.
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2) Ĝi simbolas la pilgrimon kaj
volas montri ke la papo volas sekvi la spurojn de
Johano Paŭlo la 2.a, ĉien pilgriminto en la
mondo.
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3) È un simbolo presente nello
stemma del monastero di Schotten, in Baviera, a cui
il nuovo papa si sente particolarmente
legato.
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3) Tiu simbolo ĉeestis en la
blazono de la monaĥejo de Schotten, en Bavario,
al kiu la nova papo sin sentas aparte
ligita.
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Gli altri due simboli, erano
già presenti nel suo stemma di vescovo della
diocesi di Monaco e Frisinga: la testa di moro
è l'antico simbolo della diocesi di Frisinga
(VIII secolo), l'orso ricorda la leggenda di
S.Corbiniano, primo vescovo di Frisinga, che, in
viaggio verso Roma, ebbe il cavallo sbranato da un
orso. Egli riuscì ad ammansire l'orso,
caricarlo dei suoi bagagli e farsi accompagnare fino
a Roma. L'orso diventa simbolo del vescovo medesimo,
che ammansito da Dio porta il fardello
dell'episcopato.
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La aliaj du simboloj ĉeestis jam
en lia blasono de episkopo de la diocezo de Munkeno
kaj Frisinga: la kapo de maŭro estas antikva
simbolo de la diocezo de Frisinga (VIII jc.), la urso
memorigas la legendon de Sankta Corbiniano, la unua
episkopo de Frisinga, kiu, vojaĝante al Romo,
havis la ĉevalon disŝirita de urso. Li
sukcesis dresi la urson, ŝarĝigi lin per
sia bagaĵo kaj devigi ĝin akompanadi lin
ĝis Romo. La urso iĝas simbolo de la
episkopo mem, kiu dresita de Dio, portas la
ŝarĝon de la episkopa ofico.
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Le due chiavi incrociate, sono
presenti in ogni stemma papale e indicano il potere
dato da Cristo a S.Pietro e ai suoi successori. Una
è d'oro, l'altra è d'argento e sono
spesso interpretate come simboli del potere
spirituale e temporale.
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La du krucigitaj ŝlosiloj,
ĉeestas en ĉiu papa blazono, kaj simbolas
la povon donitan de Kristo al S.kta Petro kaj al liaj
posteuloj. Unu estas el oro, la alia el arĝento,
kaj ofte estas interpretataj kiel simboloj de la
povoj spirita kaj tera.
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Benedetto XVI ha deciso di sostituire
la tiara con una semplice mitria d'argento su cui
sono tracciate tre fasce d'oro orizzontali collegate
tra loro verticalmente da una striscia centrale. Le
tre orizzontali ricordano le tre corone della tiara
indicanti i tre poteri papali: Ordine, Giurisdizione
e Magistero; quella verticale indica la loro
unità in una persona.
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Benedikto la 16.a decidis
anstataŭigi la tiaron per simpla arĝenta
mitro kun tri horizontalaj oraj strioj, vertikale
kunligitaj per alia centra strio. La tri horizontalaj
memorigas la tri kronojn de la tiaro kiuj simbolas la
tri papajn potencojn: Ordono, Jurisdikcio, Instruo;
la verticala indikas ilian unuigon en unu persono.
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Il pallio è un simbolo del
tutto nuovo nello stemma papale. Esso è la
tipica insegna liturgica del Sommo Pontefice e indica
l'incarico di essere pastore del gregge a lui
affidato da Cristo.
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La paliumo estas simbolo tute nova en
papa blazono. Ĝi estas liturgia insigno specifa
de la Ĉefpontifiko kaj estas signo de la tasko
esti paŝtisto de la grego al li konfidita de
Kristo.
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HOMILIO DE LIA SANKTECO BENEDIKTO LA
16.a
okase de la S.Meso por la komenco de lia
papado
(la homilio estas tro longa por aldoni la esperanta
traduko al la originala en la itala kaj ĝi estas tro
bela por forlasi kelkajn partojn, do ni publikigos la
esperantan tradukon en la venonta numero)
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO
XVI
per la S.Messa per l'imposizione del
Pallio e la consegna dell'Anello del
Pescatore
Piazza San Pietro:Domenica, 24 aprile 2005
(È un po' lunga per poterne affiancare la
traduzione, è troppo bella per toglierne qualche
parte: la riportiamo integralmente. Nel prossimo numero
pubblicheremo la sua traduzione in esperanto)
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’episcopato e nel
sacerdozio,
distinte Autorità e Membri del Corpo
diplomatico,
carissimi Fratelli e Sorelle!
Per ben tre volte, in questi giorni così intensi, il
canto delle litanie dei santi ci ha accompagnato: durante i
funerali del nostro Santo Padre Giovanni Paolo II; in
occasione dell'ingresso dei Cardinali in Conclave, ed anche
oggi, quando le abbiamo nuovamente cantate con
l'invocazione: Tu illum adiuva - sostieni il nuovo
successore di San Pietro. Ogni volta in un modo del tutto
particolare ho sentito questo canto orante come una grande
consolazione. Quanto ci siamo sentiti abbandonati dopo la
dipartita di Giovanni Paolo II! Il Papa che per ben 26 anni
è stato nostro pastore e guida nel cammino
attraverso questo tempo. Egli varcava la soglia verso
l'altra vita - entrando nel mistero di Dio. Ma non compiva
questo passo da solo. Chi crede, non è mai solo -
non lo è nella vita e neanche nella morte. In quel
momento noi abbiamo potuto invocare i santi di tutti i
secoli - i suoi amici, i suoi fratelli nella fede, sapendo
che sarebbero stati il corteo vivente che lo avrebbe
accompagnato nell'aldilà, fino alla gloria di Dio.
Noi sapevamo che il suo arrivo era atteso. Ora sappiamo che
egli è fra i suoi ed è veramente a casa sua.
Di nuovo, siamo stati consolati compiendo il solenne
ingresso in conclave, per eleggere colui che il Signore
aveva scelto. Come potevamo riconoscere il suo nome? Come
potevano 115 Vescovi, provenienti da tutte le culture ed i
paesi, trovare colui al quale il Signore desiderava
conferire la missione di legare e sciogliere? Ancora una
volta, noi lo sapevamo: sapevamo che non siamo soli, che
siamo circondati, condotti e guidati dagli amici di Dio. Ed
ora, in questo momento, io debole servitore di Dio devo
assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni
capacità umana. Come posso fare questo? Come
sarò in grado di farlo? Voi tutti, cari amici, avete
appena invocato l'intera schiera dei santi, rappresentata
da alcuni dei grandi nomi della storia di Dio con gli
uomini. In tal modo, anche in me si ravviva questa
consapevolezza: non sono solo. Non devo portare da solo
ciò che in realtà non potrei mai portare da
solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene
e mi porta. E la Vostra preghiera, cari amici, la Vostra
indulgenza, il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra
speranza mi accompagnano. Infatti alla comunità dei
santi non appartengono solo le grandi figure che ci hanno
preceduto e di cui conosciamo i nomi. Noi tutti siamo la
comunità dei santi, noi battezzati nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, noi che viviamo
del dono della carne e del sangue di Cristo, per mezzo del
quale egli ci vuole trasformare e renderci simili a se
medesimo. Sì, la Chiesa è viva - questa
è la meravigliosa esperienza di questi giorni.
Proprio nei tristi giorni della malattia e della morte del
Papa questo si è manifestato in modo meraviglioso ai
nostri occhi: che la Chiesa è viva. E la Chiesa
è giovane. Essa porta in sé il futuro del
mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la via
verso il futuro. La Chiesa è viva e noi lo vediamo:
noi sperimentiamo la gioia che il Risorto ha promesso ai
suoi. La Chiesa è viva - essa è viva,
perché Cristo è vivo, perché egli
è veramente risorto. Nel dolore, presente sul volto
del Santo Padre nei giorni di Pasqua, abbiamo contemplato
il mistero della passione di Cristo ed insieme toccato le
sue ferite. Ma in tutti questi giorni abbiamo anche potuto,
in un senso profondo, toccare il Risorto. Ci è stato
dato di sperimentare la gioia che egli ha promesso, dopo un
breve tempo di oscurità, come frutto della sua
resurrezione.
La Chiesa è viva – così saluto con
grande gioia e gratitudine voi tutti, che siete qui
radunati, venerati Confratelli Cardinali e Vescovi,
carissimi sacerdoti, diaconi, operatori pastorali,
catechisti. Saluto voi, religiosi e religiose, testimoni
della trasfigurante presenza di Dio. Saluto voi, fedeli
laici, immersi nel grande spazio della costruzione del
Regno di Dio che si espande nel mondo, in ogni espressione
della vita. Il discorso si fa pieno di affetto anche nel
saluto che rivolgo a tutti coloro che, rinati nel
sacramento del Battesimo, non sono ancora in piena
comunione con noi; ed a voi fratelli del popolo ebraico,
cui siamo legati da un grande patrimonio spirituale comune,
che affonda le sue radici nelle irrevocabili promesse di
Dio. Il mio pensiero, infine – quasi come
un’onda che si espande – va a tutti gli uomini
del nostro tempo, credenti e non credenti.
Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare
un programma di governo. Qualche tratto di ciò che
io considero mio compito, ho già potuto esporlo nel
mio messaggio di mercoledì 20 aprile; non
mancheranno altre occasioni per farlo. Il mio vero
programma di governo è quello di non fare la mia
volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi
in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e
della volontà del Signore e lasciarmi guidare da
Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in
questa ora della nostra storia. Invece di esporre un
programma io vorrei semplicemente cercare di commentare i
due segni con cui viene rappresentata liturgicamente
l’assunzione del Ministero Petrino; entrambi questi
segni, del resto, rispecchiano anche esattamente ciò
che viene proclamato nelle letture di oggi.
Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana,
che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo segno,
che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può
essere considerato come un’immagine del giogo di
Cristo, che il Vescovo di questa città, il Servo dei
Servi di Dio, prende sulle sue spalle. Il giogo di Dio
è la volontà di Dio, che noi accogliamo. E
questa volontà non è per noi un peso
esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà.
Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è
la via della vita – questa era la gioia di Israele,
era il suo grande privilegio. Questa è anche la
nostra gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci
purifica – magari in modo anche doloroso – e
così ci conduce a noi stessi. In tal modo, non
serviamo soltanto Lui, ma la salvezza di tutto il mondo, di
tutta la storia. In realtà il simbolismo del Pallio
è ancora più concreto: la lana
d’agnello intende rappresentare la pecorella perduta
o anche quella malata e quella debole, che il pastore mette
sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. La
parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel
deserto, era per i Padri della Chiesa un’immagine del
mistero di Cristo e della Chiesa. L’umanità
– noi tutti - è la pecora smarrita che, nel
deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio
non tollera questo; Egli non può abbandonare
l’umanità in una simile miserevole condizione.
Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per
ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La
carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità,
porta noi stessi – Egli è il buon pastore, che
offre la sua vita per le pecore. Il Pallio dice
innanzitutto che tutti noi siamo portati da Cristo. Ma allo
stesso tempo ci invita a portarci l’un l’altro.
Così il Pallio diventa il simbolo della missione del
pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo.
La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore:
per lui non è indifferente che tante persone vivano
nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è
il deserto della povertà, il deserto della fame e
della sete, vi è il deserto dell’abbandono,
della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è
il deserto dell’oscurità di Dio, dello
svuotamento delle anime senza più coscienza della
dignità e del cammino dell’uomo. I deserti
esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i
deserti interiori sono diventati così ampi.
Perciò i tesori della terra non sono più al
servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel
quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze
dello sfruttamento e della distruzione. La Chiesa nel suo
insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi
in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto,
verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il
Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in
pienezza. Il simbolo dell’agnello ha ancora un altro
aspetto. Nell’Antico Oriente era usanza che i re
designassero se stessi come pastori del loro popolo. Questa
era un’immagine del loro potere, un’immagine
cinica: i popoli erano per loro come pecore, delle quali il
pastore poteva disporre a suo piacimento. Mentre il pastore
di tutti gli uomini, il Dio vivente, è divenuto lui
stesso agnello, si è messo dalla parte degli
agnelli, di coloro che sono calpestati e uccisi. Proprio
così Egli si rivela come il vero pastore: "Io sono
il buon pastore… Io offro la mia vita per le
pecore", dice Gesù di se stesso (Gv 10, 14s). Non
è il potere che redime, ma l’amore! Questo
è il segno di Dio: Egli stesso è amore.
Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse
più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse
il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del
potere si giustificano così, giustificano la
distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e
alla liberazione dell’umanità. Noi soffriamo
per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno
della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello,
ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai
crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di
Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini.
Una delle caratteristiche fondamentali del pastore deve
essere quella di amare gli uomini che gli sono stati
affidati, così come ama Cristo, al cui servizio si
trova. "Pasci le mie pecore", dice Cristo a Pietro, ed a
me, in questo momento. Pascere vuol dire amare, e amare
vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa:
dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della
verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento
della sua presenza, che egli ci dona nel Santissimo
Sacramento. Cari amici – in questo momento io posso
dire soltanto: pregate per me, perché io impari
sempre più ad amare il Signore. Pregate per me,
perché io impari ad amare sempre più il suo
gregge – voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi
singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me,
perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi.
Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore
ci porti e noi impariamo a portarci gli uni gli altri.
Il secondo segno, con cui viene rappresentato nella
liturgia odierna l’insediamento nel Ministero
Petrino, è la consegna dell’anello del
pescatore. La chiamata di Pietro ad essere pastore, che
abbiamo udito nel Vangelo, fa seguito alla narrazione di
una pesca abbondante: dopo una notte, nella quale avevano
gettato le reti senza successo, i discepoli vedono sulla
riva il Signore Risorto. Egli comanda loro di tornare a
pescare ancora una volta ed ecco che la rete diviene
così piena che essi non riescono a tirarla su; 153
grossi pesci: "E sebbene fossero così tanti, la rete
non si strappò" (Gv 21, 11). Questo racconto, al
termine del cammino terreno di Gesù con i suoi
discepoli, corrisponde ad un racconto dell’inizio:
anche allora i discepoli non avevano pescato nulla durante
tutta la notte; anche allora Gesù aveva invitato
Simone ad andare al largo ancora una volta. E Simone, che
ancora non era chiamato Pietro, diede la mirabile risposta:
Maestro, sulla tua parola getterò le reti! Ed ecco
il conferimento della missione: "Non temere! D’ora in
poi sarai pescatore di uomini" (Lc 5, 1–11). Anche
oggi viene detto alla Chiesa e ai successori degli apostoli
di prendere il largo nel mare della storia e di gettare le
reti, per conquistare gli uomini al Vangelo – a Dio,
a Cristo, alla vera vita. I Padri hanno dedicato un
commento molto particolare anche a questo singolare
compito. Essi dicono così: per il pesce, creato per
l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal
mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per
servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del
pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini
viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e
della morte; in un mare di oscurità senza luce. La
rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci
porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita.
E’ proprio così – nella missione di
pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare
gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni
verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’
proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli
uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la
vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi
conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto
casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di
noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di
noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno
è necessario. Non vi è niente di più
bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da
Cristo. Non vi è niente di più bello che
conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con
lui. Il compito del pastore, del pescatore di uomini
può spesso apparire faticoso. Ma è bello e
grande, perché in definitiva è un servizio
alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso
nel mondo.
Vorrei qui rilevare ancora una cosa: sia
nell’immagine del pastore che in quella del pescatore
emerge in modo molto esplicito la chiamata
all’unità. "Ho ancora altre pecore, che non
sono di questo ovile; anch’esse io devo condurre ed
ascolteranno la mia voce e diverranno un solo gregge e un
solo pastore" (Gv 10, 16), dice Gesù al termine del
discorso del buon pastore. E il racconto dei 153 grossi
pesci termina con la gioiosa constatazione: "sebbene
fossero così tanti, la rete non si strappò"
(Gv 21, 11). Ahimè, amato Signore, essa ora si
è strappata! vorremmo dire addolorati. Ma no –
non dobbiamo essere tristi! Rallegriamoci per la tua
promessa, che non delude, e facciamo tutto il possibile per
percorrere la via verso l’unità, che tu hai
promesso. Facciamo memoria di essa nella preghiera al
Signore, come mendicanti: sì, Signore, ricordati di
quanto hai promesso. Fa’ che siamo un solo pastore ed
un solo gregge! Non permettere che la tua rete si strappi
ed aiutaci ad essere servitori dell’unità!
In questo momento il mio ricordo ritorna al 22 ottobre
1978, quando Papa Giovanni Paolo II iniziò il suo
ministero qui sulla Piazza di San Pietro. Ancora, e
continuamente, mi risuonano nelle orecchie le sue parole di
allora: "Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte
a Cristo!" Il Papa parlava ai forti, ai potenti del mondo,
i quali avevano paura che Cristo potesse portar via
qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato entrare e
concesso la libertà alla fede. Sì, egli
avrebbe certamente portato via loro qualcosa: il dominio
della corruzione, dello stravolgimento del diritto,
dell’arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di
ciò che appartiene alla libertà
dell’uomo, alla sua dignità,
all’edificazione di una società giusta. Il
Papa parlava inoltre a tutti gli uomini, soprattutto ai
giovani. Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se
lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci
apriamo totalmente a lui – paura che Egli possa
portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse
paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che
rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci
poi nell’angustia e privati della libertà? Ed
ancora una volta il Papa voleva dire: no! chi fa entrare
Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla
di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No!
solo in quest’amicizia si spalancano le porte della
vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente
le grandi potenzialità della condizione umana. Solo
in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che
è bello e ciò che libera. Così, oggi,
io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire
dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a
voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non
toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il
centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo
– e troverete la vera vita. Amen.

NI FUNEBRAS KAJ KONDOLENCAS
Lunedì 11 aprile, all'età di
97 anni, è venuto a mancare Guglielmo Ambrosio,
padre di monsignor Gianni Ambrosio, direttore responsabile
di Katolika Sento e assistente ecclesiastico generale
dell'università Cattolica. Il funerale è
stato celebrato nella chiesa parrocchiale di Carisio, alle
porte di Vercelli, mercoledì 13 alle 10,30. In
questo momento ci sentiamo particolarmente vicini al nostro
direttore ed eleviamo una preghiera di suffragio per il
caro estinto.
El la homilio de la pentekosta
dimanĉo (18-5-2002) pri la evangelio laŭ
Johano (20, 19-23): "Kiel la Patro sendis Min, tiel
ankaŭ Mi sendas vin: ricevu la Sanktan
Spiriton"
(...)
En la antikva hebrea liturgio Pentekosto estis
la festo de la primicoj, la komenco de la falĉado :
Hag Shavuot. Poste ĝi estis trasformita en la feston
de la renkontiĝo de Dio kun Moseo sur monto Sinaj =
Hag Shevuot, la festo de la engaĝiĝoj. En la
nova Testamento, Pentekosto estas la festo de la leĝo
nova, la leĝo de la Sankta Spirito, la leĝo de la
koro, la leĝo de la graco.
Dio estas fajron formanĝanta, ni legas en la Readmono.
Per Sia fajra fingro, la Sinjoro skribis la dek ordonojn sur
la du ŝtonaj tabuletoj de Moseo. La Sankta Spirito
gravuras en nia koro, neforviŝeble,
la ordonon de la amo. Ni esperas, ke la koro estu pli
knedebla ol la ŝtono de Moseo. Ne ĉiuj akvoj estas
sensoifigaj. Volonte oni trinkas el fonto, kies akvo estas
pura, freŝa, kristala; sed, ĉu vi trinkus volonte
el trinkokuvo el kiu sensoifiĝas ŝafidoj? De la
Sankta Spirito venas helpo por la sankteco, la graco, kiu
ekburĝonigas la virtojn, la bondeziroj, kiuj
maturiĝas en agadoj de perfekteco, la spirita lumo, kiu
gvidas al la ĉielo, la paco, kiu kvietigas la ondojn de
la maltrankvilo kaj donas al la animo la eblecon
speguliĝi en la konscienco, la konsoloj, kiuj fortikigas
kaj puŝas al la decidoj la plej malfacilaj.
Cu eblas maro sen akvo? Cu eblas la suno sen lumo? La Sankta
Spirito forĝadas la sanktulojn, ĝi starigis en ni
sian tendon, interparolas kun ni, subtenas nin; kial ni volas
ĝin ĉagreni, ne obei al ĝi, ĝin
forfuŝi? Ĝi estas la majstro, la amiko, la konsolo.
Se ĝi estas la amo, kial niaj pensoj, niaj sentoj, nia
fantazio ne tremadas je amo? La ĉefaj kondiĉoj, por
ke ni povu ricevi la Sanktan Spiriton estas: deziri kaj
preĝe alvoki gin je arda atendo; purigi la koron je
sentoj ne strebantaj al Dio; humiligi agnoskante nian
neniecon; sekvi Lian voĉon kaj Liajn sugestojn cele, ke
Li ĉiam glorita estu; ne kontraŭstari Liajn
inspirojn; ne permesi, ke la kreitaĵoj okupu nian koron,
kiu estas Lia templo; esti fervoraj en la bonaĵoj;
daŭre vigligi la flamon de la ĉiela amo; mediti
interne de ni la Parolon de Dio; trezorigi la bonajn
ekzemplojn. Akvo bona estas, kiam ĝi elfontas el
glaciejo. La Sankta Spirito fonto estas de pardono, kiel pri
tio nin memorigas la Evangelio. La elverŝiĝo de la
Spirito interligita estas kun la sakramento de la konfeso,
kun la pardono de la ŝuldoj, kun la renovigo de la
intimeco. El floro abelo eltiras mielon, araneo la venenon.
Se en vi la egoismo etendis densan araneaĵon, ne facile
el vi eliros agoj de bonvolemo kaj de indulgemo. Neniam la
Pentekosto finiĝos, ĉar la Sankta Spirito restos
vivanta inter ni. Kiam la pastro al vi diras: Mi vin
absolvas, kune kun la graco vi ricevas la Sanktan Spiriton.
Tamen, ankaŭ dum la Eŭkaristio la Sankta Spirito
haltas sur ĉiu el ni. Ankaŭ kiam ni preĝas, se
ni preĝas kun fervoro, trankvile, atente, malfermante
nian animon al Dio, ni pleniĝas je la Sankta Spirito. Ni
ne humiligu ĝin; ĝi disvastigas en nin la parfumon
de Dio, la parfumon, kiu konservas el koruptado, la parfumon
de la eterna juneco. Aldo Marcozzi vivis nur dek kvar jarojn.
Lia profesoro al li diris: Aldo, vi ĉiam ridetas" Aldo
respondis: "Mi estas tre feliĉa pri la vivo. Unu el liaj
amikoj komentariis: "Aldo gustumis la vivon, ĉar
ĉiam, ĉiutage, li interparolis kun Dio". Ankaŭ
se li estis tre juna, Aldo Marcozzi estis enamiĝinto de
Dio. La rivero frostiĝis, kaj la lutro ne plu povis
svingiĝi en la akvo. Iu kamparano rompis la
frostigitaĵon; tial la lutro feliĉa sin ĵetis
en la akvon. Posi kelkaj minutoj la lutro reelmergiĝis
tenante en la buŝo grandan fiŝon,
alproksimiĝis alla kamparano kaj al tiu donis la
fiŝon. Animalo memoras danki: kaj ni? Ĉu ni memoras
dankj la Sanktan Spiriton pro la bonaĵoj, kiujn al ni
ĝi donas?
El la homilio de XI jartempa
dimanĉo (15-6-2002) pri la evangelio laŭ
Mateo (9,36-10, 8): "Jesuo sendas Siajn dek du
disĉiplojn prediki Sian savan
mesaĝon"
La Eklezio estas misiista. La Sinjoro al vi donis la
kredon, por ke vi tiun anoncu kaj tiun vi disvastigu en la
mondo. Hodiaŭ ni havas la taskon difini la limojn
inter bono kaj malbono, indiki la fundamentojn de la mondo;
klarigi la motivojn de la kredo kaj de la espero; krei
alternativojn al la tre disvastiĝinta materialismo,
allogante atentemon al la valoroj spiritaj; kontraŭi
la ne varman kaj ne produkto-donan individualismon,
defendante la signifon de la persono kaj ĵetante la
fundamentojn de la nova humaneco.
(...)
Jesuo sentas kompaton, vidante la bezonon de la mondo pri
evangelizado kaj konstatante la negrandan nombron de
evangetizantoj. Ni esperu ke, kiel alifoje okazis en la
historio de la Eklezio, ni ne vekiĝu tro malfrue.
σπλαγχνίζομαι
= Jesuo estas afliktita kaj zorgoplena. Ankaŭ spertoj
gravaj ne mankas: en Romo, dum la Sankta Jaro, la katolikaj
movadoj liveris de pordo al pordo la Evangelion laŭ
Marko. Sed tiaj spertoj devus ĉiamaj kaj tagaj farigi;
ni devus fariĝi la vivanta evangelio, kiun la homoj
renkontas en la stratoj, en la oficejoj, en la
supermarkatoj, en la publikaj veturiloj.
(...)
La grupo de la Apostoloj formita estis de personoj malsamaj
pro karaktero, pensomaniero, kulturo, deziroj. Malgraŭ
tio, Jesuo tenis ĉiujn kune. Petro estis impeta kaj
laŭinstinkta; Jakobo kaj Johano estis tre malmodestaj;
ili deziris sidi dekstre kaj maldekstre de la Sinjoro en
ties regno; Filipo edukita estis je la rafinaĵoj de la
greka filozofio; Tomaso kontraŭe estis empiristo,
alkutimiĝinta kredi nur tion kion li vidis kaj
tuŝis; Taddeo estis grandanima kaj malavara; kelkaj
kodoj difinas lin
Λεββατος,
kuraĝan. En la nomo de Kristo ne estis konsideritaj
iliaj diferencoj, prioritato estis donita je la kununueco
kaj je la reciproka bonvolemo; kaj ĉiu predikadis la
evangelion en la lando la plej malproksima kaj la plej
netrairebla. La evangelizado ne estas akcesoraĵo;
ĝi estas fundamenta nia tasko. Sankta Lutgarda Jesuon
tiamaniere alpreĝis: "Jen miaj manoj: per ili laboru,
ho Jesuo; Jen miaj piedoj: per ili iru tien, kien vi volas;
jen miaj lipoj; per ili vi povas daŭrigi la
laŭdojn al la Patro. Lutgarda ĉiumaniere amis
Jesuon, sine modo, plene, kaj permesis, ke Dio vivu
en ŝi. Ĉu ne povus tia programo de vivo valori
ankaŭ por ni?

|
Ĉu kaj kiaj la disĉiploj de
Jesuo?
|
Se c'erano, com'erano i discepoli di
Gesù?
|
Ni, kelkaj UECI-anoj, eniras
salonon kie famiĝantaj prelegantoj prezentas
periode serion da konferencoj traktantaj specialajn
temojn kiuj povas grefti konsekvencojn por nia
kompreno pri biblio, eble ankaŭ pro nia kredo.
Ĉi-semajne oni temas pri la disĉiploj de
Jesuo. La aŭskultantaro malmultas, kvankam la
urbaj informiloj anoncis la temon kaj
antaŭresumetojn.
La rondtabluloj kunvenas tuj en tio: ankaŭ por
la priserĉado pri la «historia
Jesuo» uzeblas la samaj kriterioj jam aplikitaj
koncerne la historio antikva. La rondtabluloj
plenumas ion da tempo por ilustri tiujn kriteriojn,
kiuj ni nun povas ignori, ne sen tamen malpermesi ke
ili filtriĝu.
|
Noi, alcuni aderenti
all’UECI, entriamo in un salone dove relatori,
avviati a diventare famosi, presentano periodicamente
una serie di conferenze che trattano temi
particolari, i quali possono innestare conseguenze
per la nostra comprensione della Bibbia, forse anche
per la nostra Fede. Questa settimana si tratta dei
discepoli di Gesù. Gli ascoltatori sono pochi
benchè i mezzi di informazione cittadini
avessero annunciato il tema anticipandone un breve
riassunto.
I partecipanti alla "tavola rotonda" concordano
subito in questo: anche per la ricerca sul
"Gesù storico" si possono usare gli stessi
criteri già applicati riguardo la storia
antica. I relatori passano un po' di tempo ad
illustrare quei criteri, che noi ora possiamo
ignorare, non senza impedire tuttavia che essi si
insinuino
|
Ĉu Jesuo havis disĉiplojn?
Li havus da tiaj, se la rakontado evangelia ne
naskiĝis el retroprojekcio de la iama
ĵusiniciatita eklezio. Ja, kio estas
retroprojekcio? Temas pri artifikaĵo per kiu la
rakontanto atribuas faktojn kaj pensojn de sia menso
(kaj utilaj al sia komunumo) al la protagonistaro de
lia rakontata historio; tiukaze la praeklezio trovus
edife kaj utile por siaj celoj (eksplikaj kaj
interpretaj kaj, foje, ruzecaj) elpensi
versimilaĵojn naskiĝantajn el
bezonataĵoj de sia propagando kaj de pri si
defino.
Nun - diras la prelegantoj - el miloj da
evidentaĵoj oni estas devigata koncedi kaj
certigite aserti ke Jesuo sin ĉirkaŭis per
disĉiploj. La termino "disĉiplo" blinkas en
la evangelioj 233 fojojn; krom en Agoj (28 fojojn),
la vorto (greke:
μαθηται) ne
plu aperas en la ceteraj novtestamentaj libroj. La
vorto, do, karakterizas la evangeliojn, do (diras
kompetentuloj) ĝi certe originalas kaj
preterglitigas la eventualecon de anakronisma
retroprojekcio. Tiom pli ke la vorto malĉeestas
en la apokrifaĵaj libroj kaj en la skriboj
Qumranaj kaj en la protokanonaj kaj duonkanonaj.
Eĉ la verkoj de Filone kaj de Flavio Jozefo ne
uzas tiun vorton, kvankam ne estas ignorata la
senco.
Favoras la originalecon de la vorto
«disĉiplo» en la evangelio
ankaŭ la fakto ke Jesuo alvokas al sia sekvo
personojn kiuj neniam prenis tian iniciaton. Lia
invito sonas ordone (venu!, forlasitajn la retojn ili
lin tuj sekvis, ktp), Li ne toleras hezitojn kaj
malfruon, spite de ĉiupecaj cirkonstancoj. Tio
distingiĝas plejprecize disde aliaj alvokoj,
ĉe aliaj samspecaj majstroj: en tiuj ĉi
kazoj personoj serĉas spiritan gvidanton kaj la
rilato limiĝas al iu tempo. Johano Baptisto,
ekzemple, alvokas, invitas la disĉiplaron al
pentofaro kaj, fine, lasas ke iu rehejmiĝu!
Ĉe Jesuo la disĉiplado estas definitiva,
seninterompa! Aldonendas ke eĉ la plej sincera
deziro disĉipliĝi ĉe tia Majstro, por
Jesuo ne sufiĉas por eniri la etan gregon de
intimuloj speciale informiĝontaj: kiam la
eksdemonposedito de Geraza petas de Jesuo la permeson
resti ĉe li, Jesuo ne konsentas. Ne embarasas la
fakto ke la juna riĉulo jam fidele praktikanta
la mosean leĝon, simpatie rigardata kaj ordone
invitita de Jesuo al ties sekvo, fakte rifuzis: ne
embarasas ĉar en la evangelio eminentas
ĉiam la konsento de la libera elekto.
|
Gesù ebbe dei discepoli?
Ne avrebbe avuti, se il racconto evangelico non fosse
nato da una retroproiezione della Chiesa di allora
appena iniziata. Bene, che cos’è una
retroproiezione? Si tratta di un artificio con cui
colui che racconta attribuisce fatti e pensieri della
sua mente (e utili alla sua comunità) ai
protagonisti della storia da lui raccontata; in quel
caso la Chiesa primitiva troverebbe edificante ed
utile ai i suoi scopi (esplicativi ed interpretativi
e, a volte, furbeschi) ritrovare verosimiglianze nate
dai bisogni della sua propaganda e per la sua propria
autodefinizione.
Ora, dicono i relatori, da migliaia di fatti
evidenti, si è obbligati a concedere ed
asserire dopo essersene accertati, che Gesù si
circondò di discepoli. Il termine "discepolo"
appare nei Vangeli 233 volte; eccetto che negli
"Atti" (28 volte), la parola (in greco:
μαθηται)non
compare più negli altri libri neotestamentari.
La parola, dunque, caratterizza i Vangeli, quindi
(dicono gli esperti) certamente è originale e
fa superare l’eventualità di
un’anacronistica retroproiezione.Tanto
più che la parola è assente sia nei
libri apocrifi, sia negli scritti di Qumran, sia nei
protocanonici sia nei deuterocanonici. Persino le
opere di Filone e di Giuseppe Flavio non usano questa
parola, benchè il senso non ne sia
ignorato.
Favorisce l’originalità della parola
"discepolo" nel Vangelo anche il fatto che
Gesù chiama al suo seguito persone che mai
avevano preso questa iniziativa. Il Suo invito suona
come un ordine (venite!, lasciate le reti essi subito
lo seguirono, ecc.), non tollera esitazioni e ritardi
a dispetto di circostanze di ogni tipo. Questo si
distingue più precisamente dalle altre
chiamate presso altri maestri dello stesso tipo: in
questi casi delle persone cercano una guida
spirituale e la relazione si limita ad un certo
tempo. Giovanni Battista, ad esempio, chiama, invita
i suoi discepoli a pentirsi ed, alla fine, lascia che
qualcuno torni a casa! Presso Gesù la sequela
è definitiva, continuativa! Bisogna aggiungere
che persino il desiderio più sincero di
diventare discepoli di un tale Maestro, per
Gesù non è sufficiente per entrare nel
piccolo gregge di intimi da informare in modo
speciale: quando l’ex-indemoniato di Gerasa
chiede a Gesù il permesso di restare presso di
Lui, Gesù non acconsente. Non mette in
imbarazzo il fatto che il giovane ricco, che
già pratica fedelmente la Legge mosaica,
guardato con simpatia ed invitato con un ordine da
Gesù alla Sua sequela, di fatto ha rifiutato:
non mette in imbarazzo poiché nel Vangelo
è sempre eminente il consenso della libera
scelta.
|
Kromaj trajtoj de la
disĉiplado ĉe Jesuo.
Al la disĉiploj de Jesuo estas ordonite forlasi
sian domon, gepatrojn, kaj vivimediaron. Signifoplene
impresas la okazoj prezentitaj en Luko 9, 58-60 kaj
Mateo 8, 19-22. Laŭ oniscio, kaj reliefigite de
la rondtabluloj, disĉiple sekvi Jesuon signifas
kundividi ties sorton de vaganto, nome de persono sen
fiksa loĝejo, preskaŭ senpatruja, al kiu la
tradicia hebrea saĝo neas iun ajn konfidon. Eble
«senpatruja» ne multe plaĉas, sed
ĉar en la praeklezio Jesuon oni priskribis kiel
persekutaton kaj kondamniton, neniam kiel vaganton,
tia nocio kongruas certe kun la Jesua radikalismo. Ke
tiuj tekstoj estas originalaj, tio estas, ne
retroprojeciaj aldonaĵoj de la ekleziaj medioj,
trovas konfirmon el tio, ke Jesuo ne permesas al la
junulo alvokta ke li revenu al la hejmo por enterigi
sian patron kontraŭante tiel la etnan normon de
fileca amo de la meditaranea civilizo, kaj kiam li
krias ke (Lk 14, 26) kiu «ne malamas siajn
patron kaj patrinon» ne povas esti lia
disĉiplo: tio ĉio montras ke se la
koncernaj tesktoj estus frukto de la
retroprojekcianta kristana komunumo, tiu ĉi
evitus tiajn krudecojn, sendube impresantajn,
almenaŭ unuavide, negative, kvamkam, pli
profunde rigardata, per tiu esprimo evangeliistoj
povus celi evidentigi nur la radikalecon de la
ĉejesua disĉipliĝo.
|
Ulteriori caratteristiche della
sequela di Gesù.
Ai discepoli di Gesù è stato ordinato
di lasciare la propria casa, i genitori e le
amicizie.
Impressionano significativamente gli eventi
presentati in Luca 9, 58-60 ed in Matteo 8, 19-22.
Secondo la conoscenza comune e come rilevato dai
partecipanti alla tavola rotonda, seguire Gesù
come discepoli significa condividere la Sua sorte di
nomade, cioè di una persona senza fissa
dimora, quasi senza una patria, a cui la tradizionale
saggezza ebraica nega qualsiasi fiducia. Forse "senza
patria" non piace molto, ma poiché nella
Chiesa primitiva si descriveva Gesù come un
perseguitato e condannato, mai come un nomade, una
tale nozione certamente concorda con il radicalismo
di Gesù. Che questi testi sono originali,
cioè non sono aggiunte retroproiettive di
ambiente ecclesiastico, trova conferma dal fatto che
Gesù non permette al giovane chiamato che egli
torni a casa per seppellire suo padre, contrastando
così la norma etnica di amore filiale della
civiltà mediterranea, così come quando
grida che (Lc 14,26) colui il quale "non odia suo
padre e sua madre" non può essere suo
discepolo: tutto ciò dimostra che, se questi
testi fossero stati frutto della comunità
cristiana retroproiettante, questa avrebbe evitato
tali crudezze, senza dubbio impressionanti
negativamente, almeno a prima vista, benchè,
guardata più profondamente, con questa
espressione gli evangelisti potrebbero mirare a
mettere in evidenza solo la radicalità della
sequela di Gesù.
|
Disĉiploj je kompleta dispono
de la majstro.
Al la disĉiploj estas postulata sendiskuta
fideleco, malgraŭ la elvringe konigitaj riskoj
(«oni traktos vin kiel oni traktis min»,
«oni kondukos vin antaŭ
juĝistoj»…), dum la majstro forigas
neniun el siaj misioceloj, eĉ li ŝajnas
preferi ĝuste tiujn kiuj kondutas eksternorme:
vidu la samarianinon, la kisantantinon de liaj
piedoj, Zakeon ktp. Elpensi tiun disĉiplecon -
rigoran kaj tute dediĉita al li - kaj samtempe
ĝin inondi per tiaj cirkonstancoj riskus alglui
al Jesuo ion tro kontraŭan al la komunaj atendoj
kaj, ĉiukaze, iom neŭrozigan.
Oni notigis ke se Jesuo pretendas certe elekti
persone siajn disĉiplojn malakceptante la
bonintenculojn, kiuj sin ofertas al lia sekvo, en la
faktoj li ŝajnas selekti kun malmulte da sagaco:
elektas dekdu, sed unu el ili lin perfidas, iu alia
neas esti lin koninta, kaj ĉiuj lin forlasas
okaze de lia aresto. Eble ĝuste fronte de tiu
ruiniĝo, Luko rezignas komuniki la nombron de la
disĉiploj. Kaj reveninte, ŝajnas ke ili
ankoraŭ revas pri la esperita Izraela regno
(«ĉu estas nun la tempo de la restarigo de
la regno de Izraelo?… », laŭ Agoj
1). Apogite sur psikologiaj kutimaj, faritaj tiukaze
leĝoj de interpretado de la historiaj tekstoj,
fakuloj opinias ke la praeklezia komununo ne povis
uzi tian aŭdacon atribuante al Jesuo tiom da
malbelaj malsukcesoj. Ĝi ne pentris Jesuon
proklamantan "vi sidos sur la tronoj por juĝi la
dekdu izraelajn tribojn": profetaĵo neniam
plenumita! Se temus pri elpensaĵo lia, la
prakomunumo elpensus ion malpli kompromitan kaj
sukcesmankan!
Malfacilas imagi ke la eka komunumo regalis la
princon de la apostoloj per la neniel simpatia nomo
"Satano" kontraŭ li lanĉita de Jesuo mem,
nome de kiu lin jam levis super la aliaj
disĉiploj (Mateo).
Kaj laŭ ni, ĝuste el tiuj tro originalaj
faktoj kaj diroj travideblas geniaj celoj: Jesuo
travive traktas kun pekuloj kaj rondirigas sin kaj
disĉiplan rondeton inter pekuloj, tra kiuj sin
sentas tiaj eĉ liaj disĉiploj mem. Pekuloj,
certe, estas ni ĉiuj kaj, do, ankaŭ pro tiu
ni rajtas kunstari ĉe Kristo. Krome oni povas,
eĉ oni devas, sed senpene, derivigi el tio la
forlason aŭ ignoron de ĉiu pretendo de
pureco: la pekstato malhelpas kaj samtempe ligas al
Kristo: la komunumo perfekta kaj sankta estas idealo
travivata inter pekuloj pentolarmantaj! Liaj
disĉiploj lernu kiel travivi kun pekuloj kiuj
reprezentas eĉ ilin mem!
|
Discepoli a completa disposizione
del Maestro.
Ai discepoli è richiesta una fedeltà
indiscussa, malgrado i rischi preannunciati, quasi
estorti, ("vi tratteranno come hanno trattato me",
"vi condurranno dinanzi ai giudici"...), mentre il
maestro non rinuncia a nessuno dai suoi scopi
missionari, sembra persino preferire quelli che si
comportano fuori dalla norma: vedi la samaritana,
colei che bacia i Suoi piedi, Zaccheo, ecc. Inventare
questo modo di essere discepoli – rigoroso e di
completa dedizione a Lui – e nello stesso tempo
inondarla con queste circostanze, rischierebbe di
attribuire a Gesù qualcosa troppo contraria
alle aspettative comuni e, comunque, di un po’
nevrotica.
Si è già fatto notare che, se
Gesù pretende certamente di scegliere
personalmente i Suoi discepoli rifiutando i bene
intenzionati, che si offrono di seguirlo, nei fatti
Egli sembra scegliere con poca sagacia: sceglie
dodici, ma uno di essi Lo tradisce, un altro nega di
averlo conosciuto e tutti Lo abbandonano in occasione
del Suo arresto. Forse proprio di fronte a questa
rovina Luca rinuncia a comunicare il numero dei
discepoli. E ritornando, sembra che essi sognino
ancora lo sperato regno di Israele ("E’ ora il
tempo della restaurazione del regno di
Israele?…" secondo Atti 1). Essendosi
appoggiati sulle usanze psicologiche diventate, in
questo caso, leggi di interpretazione dei testi
storici, gli esperti ritengono che la comunità
della Chiesa primitiva non poteva usare una tale
audacia attribuendo a Gesù tanti brutti
insuccessi. Forse che essa non rappresentava
Gesù che proclamava "siederete sui troni per
giudicare le dodici tribù di Israele?"
profezia mai avveratasi! Se si trattasse di una
propria pensata, la comunità primitiva avrebbe
trovato qualcosa di meno compromettente e
fallimentare.
E’ difficile immaginare che la comunità
iniziale offrisse al principe degli Apostoli il non
simpatico nome "Satana", lanciato contro di lui da
Gesù stesso, cioè proprio da colui che
lo aveva già elevato al di sopra degli altri
discepoli (Matteo).
E, secondo noi, proprio da questi fatti e detti
troppo originali si intravvedono scopi geniali:
Gesù per tutta la vita tratta coi peccatori e
si aggira con la piccola cerchia dei discepoli tra i
peccatori in mezzo ai quali si sentono tali anche i
suoi discepoli. Peccatori, certamente siamo noi
tutti, dunque, anche per questo abbiamo il diritto di
stare con Cristo. Inoltre si può, persino si
deve, ma senza affanno, far derivare da ciò
l’abbandono o la dimenticanza di ogni pretesa
di purezza: lo stato di peccato ostacola e nello
stesso tempo lega a Cristo: la comunità
perfetta e santa è un ideale vissuto tra
peccatori piangenti per il pentimento! I suoi
discepoli imparino come vivere con i peccatori tra i
quali essi stessi sono rappresentati!
|
Disĉiploj kaj
disĉiploj
Se ni ne disdegnus nin bildigi similantaj al tiuj
kiuj petis, kaj ne obtenis, de Jesuo fariĝi liaj
disĉiploj, fronte al lia rifuzo sendube ni
suferus… Sed senmotive! Ekzistas, ĉe
Jesuo, alia disĉipla kategorio, bonŝance:
malsimila rilate la specifajn funkciojn de la adeptoj
de unua kategorio, simila, tamen, rilate la inviton
kaj restadon en la dia regno: la kredo je Li kaj
kunlaboro en lia misiado! Tiun kategorion prezentis
la sennombraj aŭskultantoj kaj dialogantoj kun
Jesuo laŭ stratoj de Palestino: tiuj estas ni al
kiuj, kaj pri kiuj, estas dirate "iru kaj faru
sammaniere", "kaj kredis li mem kaj tuta lia domo
(Joh 4, 53)"… Dum ni aplaŭdas al la
disĉiploj de la unua kategorio, ni, la dua
kategorio, situiĝas en la sama regno.
Opinieblas do, ke tio kion Jesuo instruis al siaj
intimuloj de mem persone elektitaj validas eĉ
por "disĉiploj" aŭskultantoj de liaj
vortoj: tio komfortas kaj tio sonas promese. El
ĉiuj jen iuj liaj diroj. "ĝoju eta
grego… ĉar plaĉis al Patro via doni
al vi regnon ", "beataj kiuj ne vidis kaj kredis",
tekstoj atribuataj, eĉ ĉe modernaj bibliaj
fakuloj, al la originale registritaj evangeliaj
Jesuaj diroj kaj faroj.
|
Discepoli e discepoli
Se noi non disdegnassimo di raffigurarci
assomiglianti a quelli che avevano chiesto e non
avevano ottenuto da Gesù di diventare suoi
discepoli, di fronte al Suo rifiuto, senza dubbio,
avremmo sofferto... Ma senza motivo! Per fortuna
esiste presso Gesù un’altra categoria di
discepoli: diversa, in relazione alle funzioni
specifiche della prima categoria, tuttavia simile in
relazione all’invito ed al restare nel regno di
Dio: la fede in Lui e la collaborazione nella Sua
missione! Rappresentavano questa categoria gli
innumerevoli ascoltatori ed interlocutori di
Gesù lungo le strade della Palestina; quelli
siamo noi a cui e di cui è detto: "andate e
fate allo stesso modo", "e credette lui stesso e
tutta la sua casa (Gv.4,53)"… Mentre
applaudiamo i discepoli della prima categoria, noi,
la seconda categoria, ci poniamo nello stesso
regno.
Si può dunque ritenere, che ciò che
Gesù insegnò ai suoi intimi, scelti
personalmente da Lui stesso, è valido anche
per i "discepoli" ascoltatori delle Sue parole:
ciò conforta e suona come una promessa. Tra
tutte ecco alcune Sue parole:"goisci, piccolo
gregge… perché è piaciuto al
Padre tuo donarti un regno", "beati quelli che non
hanno visto ed hanno creduto", testi attribuiti,
anche dai moderni esperti della Bibbia, alle parole
ed alle azioni evangeliche di Gesù registrate
dall’originale.
|
|
Armando Zecchin
|
Armando Zecchin
traduzione di Silvia Garnero
|

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QUOTE E NORME ASSOCIATIVE ANNO
2005
ů
|
Associato ordinario con
Katolika Sento (SO)
|
17,00 €
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Associato giovane (SG)
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8,50 €
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Associato familiare
(SF)
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8,50 €
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Associato ordinario con Espero
Katolika (SOE)
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38,00 €
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Solo abbonamento a Katolika
Sento (AK)
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Unione Esperantista Cattolica Italiana
U.E.C.I
|

Giacomino Martinez, ci manda il seguente messaggio a
integrazione e parziale correzione del programma del
convegno su "Don Bianchini e l'Esperanto" .
Comunico che il giorno 18 giugno 2005, alle ore
18.00, in località Cimpello di Fiume Veneto (PN),
avrà luogo il convegno "Don Giacomo Bianchini e
l'Esperanto". Questo il programma definitivo:
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ore 17.00:
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celebrazione della Santa Messa in
Esperanto nella Parrocchiale.
Sacerdote: Don Nello Marcuzzi del gruppo Nova Espero
Friuli;
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ore 18.00
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presso il Centro Parrocchiale,
conferenza:
. "Don Giacomo Bianchini e il suo tempo" (Prof. G.
Strasiotto):
. "Il Pastore Don Giacomo Bianchini" (Don V.
Zanette);
. "Don Giacomo Bianchini e l'orrido di Pradis" (Don
T.Cataruzza);
. "Don Giacomo Bianchini e le testimonianze" (Don A.
Zanette);
. "L'esperantista Don Giacomo Bianchini"
(G.Martinez).
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ore 20.30
|
apertura della mostra riguardante
documenti, foto, libri di Don Giacomo Bianchini e di
Esperanto
|
Preciso che il Prof. Carlo Minnaja ha
dovuto disdire l'impegno perchè incaricato
dall'Università di Padova di tenere delle conferenze
nello stesso periodo.
Il convegno, inserito nelle attività per commemorare
il famoso esperantista friulano, è patrocinato anche
dalla Federazione Esperantista Italiana e dal Club UNESCO
di Udine, Membro della Federazione Italiana dei Club UNESCO
Associata alla Federazione Mondiale.
Cordiali saluti. Giacomino Martinez del gruppo Nova
Espero Friuli
La fenestro sur la mondo

Penso che sia ben nota la mia passione per i
mappamondi.
Dopo il primo, in legno, alto 2 metri e collocato in un
gazebo, avendo avuto a disposizione una bella parete
bianca, ho pensato di farvi anche qui qualcosa attinente al
mondo. Adoperando una grossa corda simile a quelle usate in
marina e fissandola alla parete con numerosi tasselli ad
espansione, ho realizzato un bel cerchio di 3 metri di
diametro. Con delle corde più piccole, ho poi
tracciato i meridiani ed i paralleli così da
ottenere una rappresentarzione della terra. Nei 160
riquadri che automaticamente si sono venuti a formare, ho
scritto il nome, in Esperanto, delle lingue più
parlate nel mondo. Nel bel mezzo di questo mappamondo ho
poi inserito una finestra con le sue brave persiane.
Quando l'ospite in visita al mia "Esperanta Ĝardeno"
giunge davanti a questa realizzazione, spiego che queste
corde che avvolgono il mondo simboleggiano i legacci che
stringono e soffocano tutte le lingue del mondo, impedendo
loro di poter comunicare l'una con l'altra.

< Finché – soggiungo io – un bel
giorno si è aperta una finestra sul mondo per
rompere questa corde ! >
A questo punto, gli chiedo gentilmente di aprire questa
finestra....la sorpresa è sempre garantita!
Aprendo le persiane infatti si attiva un registratore
nascosto nella cavità di in un libro di legno sul
quale campeggia la parola Esperanto in lettere metalliche,
quindi si odono le gaie note dell'inno dell'Esperanto.
Nella finestra, a fianco del libro musicale, ho collocato
un il busto di Zamenhof (abbastanza rassomigliante), da me
scolpito, con tanto di "papillon" e distintivo
dell'esperanto.
Questa è una delle mie realizzazioni più
riuscite e sempre crea grande buon umore tra i miei
ospiti.
Johano el Kor-mano
Parlamento Italiano
Una proposta di legge per l'esperanto
In data 10 marzo 2005 è stata
presentata al parlamento italiano una proposta di legge
d’iniziativa dei deputati Emerenzio Barbieri, Michele
Ranieli e Antonello Mereu (UDC) dal titolo: "Disposizioni
in materia di accesso allo studio e all’uso della
lingua internazionale esperanto". L'11 aprile 2005 il testo
è stato assegnato in sede referente alla commissione
VII (Cultura).
Eccone il testo (Camera dei Deputati doc. N. 5714):
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
1. Tra gli insegnamenti elettivi di lingua straniera nella
scuola statale dell’obbligo, è introdotto
l’insegnamento della lingua internazionale
esperanto.
2 L’insegnamento di cui al comma 1 è istituito
secondo un programma e orari stabiliti con decreto del
Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, di seguito
denominato « Ministro », con le modalità
previste dalla legislazione vigente per le lingue
straniere.
3 Con decreto del Ministro sono altresì stabilite le
modalitè per la costituzione di cattedre e di
incarichi di insegnamento della lingua internazionale
esperanto.
ART. 2.
1 Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma
1, il Ministro può istituire, con proprio decreto,
l’insegnamento della lingua e della letteratura
esperanto, in conformità alle disposizioni vigenti
per gli insegnamenti e i programmi di lingue e di
letterature straniere, nelle scuole e negli istituti il cui
piano di studi comprende l’insegnamento di almeno due
lingue straniere.
2 Il Ministro provvede a fornire adeguata informazione e
sensibilizzazione sulle motivazioni della scelta della
lingua internazionale esperanto.
ART. 3.
1 Con decreto del Ministro, ai sensi dell’articolo 40
del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile
1994, n. 297, sono stabiliti i titoli validi per
l’ammissione ai corsi di abilitazione di lingua e
letteratura esperanto e le relative classi di concorso.
2. Fino a quando non siano istituiti i corsi universitari
di lingua e letteratura esperanto, possono essere ammessi
ai corsi di abilitazione candidati in possesso del diploma
di laurea e del diploma di magistero, rilasciato
dall’Istituto italiano di esperanto, oppure in
possesso di diplomi universitari stranieri riconosciuti
equipollenti alla laurea italiana in lingua e letteratura
esperanto.
È interessante anche la lettura della lunga
prolusione di presentazione della legge (7 pagine),
perchè presenta in modo dettagliato, agli "onorevoli
colleghi" le motivazioni e le peculiarità di questa
lingua. Chi fosse interessato al testo completo lo
può trovare nel sito della Camera:
www.camera.it/_dati/leg14/lavori/stampati/pdf/14PDL0072100.pdf
In sintesi il discorso parte dall'attuale dibattito sulle
lingue di lavoro negli organismi comunitari per segnalare i
pericoli dell'affermarsi di una o di qualche superlingua a
discapito delle altre e d'altra parte si sottolinea il
costo eccessivo del multilinguismo adottato a Bruxelles che
tra l'altro risulta paralizzante e quindi impraticabile. Si
propone quindi l'adozione di una lingua ausiliaria
internazionale. Scartata l'ipotesi del latino perchè
verrebbe snaturato per adattarlo alle moderne esigenze
espressive, si propone l'uso dell'esperanto. Si passa ad
elencare i vantaggi di questa scelta e si danno indicazioni
sulla struttura della lingua. Tra i vantaggi si ricorda che
l'E-o "non è colonizzante perchè, richiedendo
un modesto tempo di apprendimento, non stimola
quell’inconscia necessità di essere usata
quando non serve, cioè fuori dai rapporti
internazionali", è una lingua viva con una sua
letteratura autonoma e ha "superato le difficoltà
determinate da due guerre e da periodi di regimi
nazionalistici, che hanno cercato di soffocarlo".
Riportando da uno scritto di Claude Piron: "Il vantaggio
dell’esperanto risiede principalmente nel fatto che
rispetta il discente maggiormente di qualsiasi altra
lingua, perchè anzichè riempirlo di
difficoltà, umiliandolo, l’esperanto si adatta
all’istinto naturale dell’uomo che generalizza
le regole e le strutture grammaticali. In questo modo, dopo
il periodo iniziale si entra in confidenza con la lingua
sentendosi ben presto a proprio agio. Ciò deriva dal
fatto che la lingua internazionale richiede per se stessa
una capacità di dedurre più che una
capacità di memorizzare, cioè si affida
più sull’intelligenza dell’individuo che
sulla sua memoria". Per quanto riguarda le caratteristiche
della lingua, si fa riferimento al suo alfabeto, alla
fonetica e alla sua struttura agglutinante. Si sottoliea
poi la sua efficacia propedeutica per l'apprendimento delle
altre lingue straniere e si continua con un elenco delle
principali istituzioni culturale esperantiste e delle
attuali opportunità di apprendimento della lingua.
Segue un esame degli articoli della legge proposta.
Johano el Kor-mano
En Ĝangalo La kanibal-instruisto instruas al
etaj lernantoj kiel havigi al si bonan manĝaĵon.
Iumomente el la ĉielo oni aŭdas bruo kaj lernanto
demandas:
- Kio estas tio kiu flugas super ni?
- Ĝi estas skatoleto: kiam vi hazarde trovos unu el
ili sur la tero manĝu nur ĝian enhavon,
alimanierere vi riskas endanĝerigi viajn dentetojn.
***
Akcelu! Masonisto laboradis en 40a etaĝo de
konstruaĵo kiam li malekvilibriĝis kaj falis!
Falo estis drama sceno. Dum lia falo, laborkolego kriegis
el supre:
- Akcelu, Jozefo! Alvenas brikaĵo post vi!!!
(sendis Silvia Garnero)
***
Vortludo - Kia diferenco estas inter iu ajn
anoreksia knabino kaj la Madono?
- !?
- La knabino ĉiam estas en dieto, Sankta Maria naskis
Dieton...
(sendis Diego Fiumarella)
***
Falo - Mi falis de ŝtuparo 15 metrojn
alta
- Ho! kiel vi sukcesis postvivi?
- Ĉar bonŝance, mi estis nur sur la tria
ŝtupo
(sendis Felice Sorosina)
***
Reveninte el la lernejo Filo alparolas la
gepatrojn:
- Mi havis bileton de la instruistino por vi, sed ĝin
mi forĵetis: mi ja havas sufiĉe da problemoj per
mi mem.
***
Vidpunktoj Geedzoj hejmen revenas post
vespermanĝo ĉe amikoj.
- Ĉu vi rimarkis - diras la edzo - la sunan
ridesprimon de sinjorino Bianchi, kiam mi diris al ŝi,
ke ŝi ŝajnas pli juna ol la filino?
- Ne - respondas la edzino - Mi estis tro ŝokita pro
la grimaco sur la vizago de la filino.
(sendis +Glauco Corrado)
***
Infana logiko - Panjo, mi havas
stomak-doloron
- Estas nenio Joĉjo. Via stomako doloras ĉar
ĝi estas malplena.
Postagmeze alvenas amikino de la patrino por viziti
ŝin.
Iumomente ŝi diras:
- Mi havas kapdoloron
Kaj la knabeto, trankviligema:
- Estas nenio sinjorino. Via kapo doloras ĉar ĝi
estas malplena.
***
Prahistorio - Kion alvenas post la epoko da la
fero ?
- La epoko de la rusto.
***
Rehejmeninte el la lernejo - Panjo, hodiaŭ
ni lernis novajn fivortojn
- Kiel !?
- Ni metis desegnopinglon sur la seĝon de la
instruisto.
***
Fratineto Joĉjo montras orgojle al amiko
sian fratineton kiu estas rigardanta libron ilustritan:
- Bedaŭrinde oni ne scias ĉu ŝi legas
ĝin aŭ rigardas nur la bildojn, ĉar ŝi
ankoraŭ ne kapablas paroli.
(sendis Dori Pozzi)

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COMITATO CENTRALE U.E.C.I.
Presidente: Giovanni
DAMINELLI, via Lombardia 37, 20099 Sesto
S.Giovanni (MI) – tel. 02.2621149
Vice presidente: Paola AMBROSETTO, via
Emo 9/C, 30173 Mestre (VE) – tel. 041.5341532
– fax 041.612516
Segretario generale: Diego FIUMARELLA
(delegato giovanile), Corso Italia 11, 10090 Castagneto Po
(TO) – tel. 011.9132048
Consiglieri: don Duilio MAGNANI
(segretario per l'informazione), viale C.Zavagli 73,
47900 Rimini, tel.-fax 0541.26447
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